Con la fine dell’anno finanziario è tempo un po’ per tutti di fare i conti e allora abbiamo deciso di farne qualcuno anche noi, sollecitati dal dibattito che si sta svolgendo attorno alla questione dell’emigrazione e che vede da una parte chi ritiene importante il contributo dato all’Australia dagli emigrati e dall’altra coloro che invece sostengono che l’immigrazione sia soprattutto un costo.
Questi ultimi in particolare pensano che l’emigrazione sia un peso insostenibile per la società australiana e che possa mettere in crisi il sitema di welfare e il servizio sanitario pubblico. Arrivare nel Paese e sfruttare lo stato sociale australiano, affermano costoro, è il vero obbiettivo degli emigrati, che di conseguenza costerebbero troppo in termini fiscali. In pratica, è il ragionamento, tra tasse pagate dagli emigrati e benefici da questi ricevuti in termini di welfare, il conto per l’Australia sarebbe in perdita.
Per verificare se davvero sia così, abbiamo allora deciso di andare ad analizzare la ricevuta fiscale di una persona con visto temporaneo che vive e paga le tasse in Australia da 10 anni. In particolare abbiamo deciso di prendere in considerazione l’anno pre pandemia, considerandolo un anno di normalità, e di andare a vedere la distribuzione percentuale delle tasse di questa persona che sono state impiegate in servizi pubblici di cui un emigrato senza cittadinanza può usufruire.
Ebbene, nel conto delle tasse pagate dal caso preso in esame, risulta che il 39,5% delle imposte sia finito a finanziare il welfare, al quale un emigrato in Australia senza residenza permanente o cittadinanza non ha diritto. Poco più del 19% è andato per contribuire all’assistenza sanitaria pubblica, quel Medicare al quale i residenti con visti temporanei non hanno accesso, come non hanno accesso all’housing sociale, al quale è destinato comunque appena l’1,2% della quota fiscale. Poco meno del 9% è stato impiegato per sostenere la Difesa e l’8,5% l’Istruzione,entrambe voci che possiamo considerare, come quelle delgli interessi sul debito (4%), degli affari esteri e dell’assistenza all’industria (entrambi all’1,3%), settori che, anche se solo indirettamente, interessano anche la vita di un emigrato senza cittadinanza o residenza permanente. I servizi pubblici generali, al quale viene dedicato il 4,8% delle tasse del caso preso in esame, i trasporti (1,9%), l’energia (1,8%), l’ordine pubblico (1,3%), la cutura (0.9%) sono invece tutti servizi dei quali un emigrato usufruisce vivendo in Australia. Infine uno 0,8% delle tasse pagate da questo emigrato sono riservate specificamente alla gestione dell’immigrazione, probabilmente per quel Department of Immigration che gli emigrati finanziano già direttamente attraverso una montagna di soldi pagati per i costosissimi visti. Infine c’è un 5% indicato sotto la voce “other purposes”, che non può essere considerato nel nostro conteggio.
Tirando le somme, dunque, il 59,7% delle tasse pagate da un emigrato con residenza permanente in Australia finiscono in servizi per i quali non può usufruire. Un altro 23,8% vanno in servizi che non impattano direttamente sulla sua vita, non essendo cittadino, ma ai quali non è ingiusto che contribuisca. Infine l’11,5% sono dedicate a servizi ai quali un emigrato può accedere e impattano sulla sua vita di tutti i giorni.
Insomma, a conti fatti, non sembra proprio che un temporary migrant sia un peso per l’Australia e il suo sistema di welfare. Anzi.
(Photo by Damir Spanic on Unsplash)