Dopo anni di discussione e polemiche sulle procedure che consentono agli italiani residenti al di fuori dei confini nazionali di esprimere il proprio voto dall’estero, è finalmente stata depositata al Senato una legge di riforma che mira a mettere una parola fine sulla questione.
La scorsa settimana, un disegno di legge a prima firma del presidente della Commissione Esteri Vito Petrocelli, senatore del Movimento 5 Stelle, è stata comunicata alla presidenza di Palazzo Madama e attende ora di essere assegnata alla commissione di competenza, probabilmente Affari Costituzionali.
È davvero soltanto il primo piccolo passo di una riforma che farà molto discutere ma che è interessante seguire fin dalla sua origine, per capire da subito quali saranno le sue linee guida principali.
L’intento della proposta intanto è duplice. Non solo offrire una soluzione immediata ad alcuni problemi che il voto all’estero ha riscontrato nel suo esercizio di questi anni, ma anche impegnare il governo perché in un futuro prossimo, il diritto di voto da fuori dei confini nazionali possa essere esplicitato tramite mezzi elettronici e non più con voto cartaceo. L’obiettivo principale è dichiarato dal senatore Petrocelli fin dalle prime righe, sottolineando però, che con la sua proposta non si intende “stravolgere” la disciplina che regola il voto all’estero, ma semplicemente apportare dei correttivi che lo rendano più funzionale, meno dispendioso e più rispettoso dei precetti costituzionali di segretezza e validità.
La modifica più rilevante proposta dal disegno di legge è senza alcun dubbio l’introduzione dell’opzione inversa, ossia un meccanismo che richiede al cittadino italiano, per poter esprimere il voto per corrispondenza dall’estero, di inviare una comunicazione, preferibilmente per via telematica, al comune di ultima residenza. Niente più invii dei plichi elettorali via posta a tutti gli aventi diritto quindi, ma solo a coloro che richiederanno espressamente al proprio comune di voler partecipare alle votazioni. Tale sistema consentirà, secondo i proponenti, di raggiungere tre obiettivi principali. Il primo e più importante è quello del coinvolgimento attivo del cittadino, al quale è richiesto di manifestare il permanere del legame con la comunità politica e sociale italiana. Il suo valore è soprattutto civile e punta a riportare al centro la partecipazione consapevole alla comunità politica, che il diritto di cittadinanza porta con sé. Il secondo ha soprattutto una funzione burocratica, che è quella di rendere meno complesso il lavoro delle strutture diplomatiche. Infine il terzo ha un valore soprattutto economico, perché il sistema dell’opzione inversa permette di risparmiare importanti risorse. Le ultime elezioni politiche all’estero sono infatti costate allo Stato circa 28 milioni di euro.
Ma le novità non finiscono qui, perché nel disegno si sana anche una ferita inflitta alla legge sul voto all’estero dall’ultima legge elettorale approvata dal governo Gentiloni, che ha inserito la possibilità di candidarsi nelle circoscrizioni estere a cittadini residenti in Italia. Con l’articolo 6 della nuova proposta si cancella questa possibilità. Infine, si introduce una nuova causa di ineleggibilità per i membri dei Com.It.Es. e del CGIE. Una limitazione per chi fa parte di questi organismi, che si protrae fino ai due anni successivi alla cessazione dell’incarico e che è motivata dalla volontà di tutelarne l’indipendenza dall’ingerenza politica di partito che ne ha caratterizzato sempre di più la storia recente.
(IL GLOBO, Eureka, giovedì 4 luglio 2019)