I cittadini italiani residenti all’estero hanno diritto di eleggere i propri rappresentanti in Parlamento nel numero di 12 deputati e 6 senatori e di partecipare alle consultazioni referendarie. Un voto reso possibile con legge costituzionale 17 gennaio 2000, n. 1,che ha istituito la circoscrizione estero.
Nonostante le molte criticità sottolineate giustamente ad ogni tornata elettorale e riguardanti in particolare le modalità di voto all’estero, negli ultimi 20 anni questa legge, così peculiare dell’ordinamento italiano, ha reso possibile la partecipazione di milioni di cittadini alla vita politica del Paese. Negli ultimi 13 anni, secondo i dati del Rapporto Migrantes 2019, sono stati oltre 1 milione gli italiani che hanno spostato la propria residenza all’estero e la metà di essi ha tra i 18 e i 34 anni. Un numero questo che, come sottolineato da diversi studi (es. Idos-Confronti), è fortemente approssimato per difetto.
In questo panorama il voto all’estero si è dimostrato essere quindi una istituzione di grande lungimiranza, oltre che di profonda valorizzazione del concetto stesso di cittadinanza. E questo in un momento in cui l’emigrazione e la mobilità dei lavoratori sono fenomeni di portata vastissima, non solo per l’Italia, ma fortemente influenzati anche da politiche migratorie ovunque sempre più restrittive. Centinaia di migliaia di italiani, soprattutto giovani, sono infatti costretti nella loro esperienza migratoria a subire una continua erosione dei propri diritti, legata alla temporaneità dei visti a loro concessi, conseguenza di queste politiche. Con una calzante definizione il giornalista australiano Peter Mares li ha definiti pertanto i “nuovi meteci”, comparandoli alla classe dei meteci dell’antica Atene.
Tra i diritti di cui vengono privati, anche per lunghi anni, c’è quello politico, che però l’Italia gli ha restituito con l’istituzione appunto del voto all’estero. Oggi tuttavia, se il referendum dovesse passare, si andrà però a tagliare anche il numero degli eletti all’estero (i deputati da 12 a 8 e i senatori da 6 a 4), proprio dopo anni in cui viceversa il numero degli italiani fuori confine è almeno raddoppiato. Tale modificà si configurerà quindi come un duro colpo per la nostra rappresentanza, ma anche come una grave perdita per l’Italia stessa.
Non solo perché con il mantenimento dei diritti politici per tutti i suoi cittadini, ovunque siano nel mondo, l’Italia fa in modo che questi rimangano a lei legati, a maggior ragione in un periodo di forte temporaneità dell’esperienza migratoria. Ma anche perché permette, ad una larga fetta dei suoi giovani sparsi per il mondo, di dare il proprio contributo in idee, esperienze e vitalità, alla politica del Paese. E tutti sappiamo quanto l’Italia oggi abbia davvero bisogno dei suoi giovani.
E’ anche per questo (oltre che per molti altri motivi sui quali ci esprimeremo nelle prossime settimane) che, come nel 2016, voteremo No al Referendum sul taglio dei parlamentari.