Frontiera di guerra: come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa

armi

Con questo titolo si apre il rapporto a cura di Mark Akkerman dell’associazione olandese StopWapenhandel, che squarcia il velo su una delle più screditanti e umilianti verità che investono tutti i cittadini europei e i loro governi. Secondo lo studio di Akkermann, pubblicato lo scorso 4 luglio, quella che per molti è una tragedia umanitaria senza precedenti, un dramma sociale e politico che presto investirà con tutta la sua forza disgregatrice l’intero vecchio continente e a causa della quale le istituzioni europee stanno perdendo la loro credibilità, è invece, per alcuni, un miniera d’oro, su cui fare affari e guadagnare miliardi di euro.

Il rapporto di StopWapenhandel ci permette di fare piena luce su come si intreccino gli interessi dell’ industria delle armi e della classe dirigente europea in questo drammatico momento mondiale.

Il sorgere di guerre in moltissime zone del Nord Africa e del Medio Oriente infatti, alimentate da miopi e scellerate politiche dei governi occidentali, come recentemente sottolineato anche dal rapporto Chilcot, ha portato un’ondata di profughi in fuga dalle atrocità e dalle violenze ad ammassarsi ai confini del vecchio continente. L’incapacità dei governi nazionali e delle istituzioni europee di far fronte all’arrivo di una tale massa di disperati, ha spinto sempre più ampi strati della popolazione e della classe dirigente a chiedere una maggiore sorveglianza delle frontiere. La protezione dei confini e una più intensa attenzione al comparto della Difesa, ha quindi indotto le maggiori potenze europee ad attivare ingenti investimenti in questo senso,  lasciando milioni di persone a marcire all’interno dei campi profughi nei paesi terzi, in balia del crimine organizzato e di regimi che non rispettano i diritti fondamentali dell’uomo.

Ma il rapporto Wapenhandel spiega come, dietro questo sfacelo mondiale, agiscano sempre gli stessi interessi e sempre gli stessi soggetti. Così si legge nella sintesi del rapporto tradotta in italiano da Giorgio Beretta di Opal Brescia per “Controllarmi, la rete italiana per il disarmo”.

Da una parte si assiste alla crescita delle esportazioni di sistemi militari,  solo verso il Medio Oriente è aumentata del 61 per cento tra il 2006-10 e il 2011-15. Tra il 2005 e il 2014, gli Stati membri dell’UE hanno concesso licenze per esportazioni di sistemi militari verso il Medio Oriente e Nord Africa per un valore di oltre 82 miliardi di euro, nonostante Costituzioni come quella italiana vietino la vendita di armi in paesi in guerra. Dall’altra anche il mercato della sicurezza delle frontiere è in piena espansione, stimato, secondo il rapporto in circa 15 miliardi di euro nel 2015, si prevede che per il 2022 supererà annualmente i 29 milioni di euro.  Il finanziamento totale dell’UE per le misure di sicurezza delle frontiere attraverso i principali programmi è di 4,5 miliardi di euro tra il 2004 e il 2020; Il bilancio di Frontex, la principale agenzia di controllo delle frontiere dell’UE, tra il 2005 e il 2016 è aumentato del 3688% (da 6,3 milioni a 238,7 milioni di euro). Ma Wapenhandel non si limita a dare solo le cifre e fa i nomi delle aziende maggiormente coinvolte. L’industria europea della sicurezza delle frontiere è dominata da grandi aziende produttrici di  sistemi militari come Airbus, Finmeccanica, Thales e Safran, e il gigante delle tecnologie Indra. Finmeccanica e Airbus sono stati i vincitori di contratti dell’UE particolarmente importanti volti a rafforzare i controlli delle frontiere. Airbus è anche il vincitore dei maggiori contratti di finanziamento dell’UE della ricerca nel settore della sicurezza.

Finmecannica, Thales e Airbus, protagonisti nel settore della sicurezza dell’UE, sono anche tre dei primi quattro produttori ed esportatori di sistemi militari europei e sono fornitori di sistemi militari ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. I loro ricavi totali nel 2015 sono stati pari a 95 miliardi di euro.

Tra aziende non europee che hanno ricevuto finanziamenti per la ricerca vi sono solo alcune aziende israeliane: ciò è stato possibile a seguito di un accordo del 1996 tra l’Unione europea e Israele. Queste aziende hanno svolto un ruolo nel fortificare i confini di Bulgaria e Ungheria, promuovendo il know-how sviluppato con l’esperienza del muro di separazione in Cisgiordania e del confine di Gaza con l’Egitto. L’azienda israeliana BTec Electronic Security Systemsè stata selezionata da Frontex a partecipare al laboratorio svolto nell’aprile 2014 su “Sensori e piattaforme di sorveglianza delle frontiere”: l’azienda vantava nella sua domanda di applicazione via mail che le sue “tecnologie, soluzioni e prodotti sono installati sul confine israelo-palestinese”.

Ad aggravare l’intera situazione è il coinvolgimento diretto di queste stesse aziende e in generale dell’industria degli armamenti, nelle scelte politiche prese dai vertici europei. Sia per quanto riguarda le politiche estere, sia per quanto riguarda le decisioni di sicurezza delle frontiere, StopWapenhandel ha documentato un’intensa attività di lobby e di pressione, attraverso la quale queste stesse compagnie agiscono sui politici e sull’opinione pubblica europea.

L’Organizzazione europea per la Sicurezza (EOS), comprende infatti anche rappresentanti di Thales, Finmecannica e Airbus, ed ha elaborato proposte importanti, come ad esempio la spinta ad istituire un’agenzia europea per la sicurezza delle frontiere, che sono poi diventate politiche europee: è il caso, ad esempio, della trasformazione di Frontex in “Guardia costiera e di frontiera europea” (European Border and Coast Guard – EBCG). Infine le giornate biennali di Frontex/EBCG e la loro partecipazione a tavole rotonde sul tema della sicurezza e ai saloni fieristici dedicate ai sistemi militari e alla sicurezza garantiscono una comunicazione regolare e una naturale affinità per la cooperazione.L’industria degli armamenti e della sicurezza ha ottenuto anche gran parte dei finanziamenti di 316 milioni di euro forniti dall’UE per la ricerca in materia di sicurezza, contribuendo a definire l’agenda per la ricerca e la sua realizzazione e, di conseguenza, beneficiando spesso dei contratti che ne derivano.

Dal 2002, l’UE ha finanziato 56 progetti nel campo della sicurezza e del controllo delle frontiere. Nell’insieme i fatti mostrano una crescente convergenza di interessi tra leader politici europei che cercano di militarizzare le frontiere e le principali aziende del settore della difesa e della sicurezza che forniscono i servizi. Questo rappresenta non solo un problema di conflitto di interessi o un modo per avvantaggiarsi della crisi, ma è soprattutto un tema che riguarda la direzione che l’Unione europea intende prendere in questo momento critico.

Siamo di fronte, sottolinea StopWapenhandel, ad un potente complesso militare-sicuritario-industriale, che utilizzando tecnologie che puntano verso l’esterno e verso l’interno, prende di mira alcune delle persone più disperate e vulnerabili del mondo. Permettere a questo complesso di sfuggire ai controlli democratici costituisce una minaccia per la democrazia e per un’Europa costruita su un ideale di cooperazione e di pace.

 

Per leggere l’intero rapporto

www.stopwapenhandel.org/borderwars

www.tni.org/borderwars

www.disarmo.org

 Luca M. Esposito