Il paesaggio dell’anima

Croatia

In conversazione con il fotografo Robert Marnika

Il paesaggio è un’esperienza quotidiana. Non passa un giorno senza che siamo parte di un luogo di cui attraversiamo le forme, ci interroghiamo sui misteri o ne contempliamo la bellezza. Purtroppo trovo che spesso le rappresentazioni del paesaggio invece di narrarlo lo mortifichino, lo appiattiscano, privandolo della propria magia. In alcuni casi però, quando un’anima artistica possiede il mezzo giusto, il paesaggio diventa vivo e oltre a raccontare la propria vita riflette quella dell’anima che lo osserva.

Ho parlato di questo con Robert Marnika, fotografo e artista di base a Daylesford. I paesaggi sono una costante nel suo repertorio artistico e spaziano non solo in collocazione geografica – dalla Croazia all’Italia, dall’India all’Australia – ma anche nelle tecniche usate. Talvolta includono figure umane che si mimetizzano nell’ambiente, come nella serie “La Forza delle Rocce”, oppure ad esso si contrappongono, diventando solo un simbolo dell’agire umano, come nella pittorica “Quadrumiki”. Robert mi racconta che la sua connessione con il paesaggio è generalmente immediata, improvvisa ed emozionale. Come un amore a prima vista, l’attrazione è rapida e subito nasce in lui la necessità di raccontare le emozioni che esso suscita. Se mancano questi ingredienti è molto raro che un progetto prenda forma, poiché l’istinto lo guida sin dai primi scatti. Raramente è corso dietro ad una situazione, ma anzi ci si è buttato a capofitto, senza esitazioni. Non ci sono condizioni ideali o preferite perché questo avvenga, bello o brutto tempo, alba o tramonto, viaggio in auto o passeggiata a piedi. Ciò che conta è il colpo di fulmine che accende il processo creativo. Questo mi fa capire perché i suoi progetti sono così diversi tra loro, non si assomigliano se non nel fatto che c’è sempre una sospensione, un enigma sibillino nell’immagine. Sta nascosto nella sagoma scura del pescatore, nei nodi di un tronco o nell’astratta varietà cromatica del cielo. Ogni volta che mi aff accio al suo universo percepisco un sentimento differente in cui paura, tormento, desiderio trovano una propria forma. Certamente questo si riconduce al suo bisogno di individualità artistica. Robert insiste sul fatto che un artista deve cercare il proprio linguaggio, senza emulare gli altri ma prendere coraggio nel dichiarare cosa per sé è giusto e autentico. Un artista deve trovare in sé l’appagamento, senza la preoccupazione di compiacere un cliente o un pubblico. Senza badare alle etichette che la società gli cuce addosso. Le sue parole mi fanno venire in mente un’intervista al fotografo Oliviero Toscani che definì l’artista come colui che crea qualcosa senza essere certo del risultato. Confronto Robert anche su questo, così ci inoltriamo a parlare di Picasso, dei movimenti artistici di rottura, degli artisti che hanno fatto della loro diversità e bizzarria uno stile originale prima che altri ne capissero il senso. E più parliamo, più realizzo che questo modo di pensare è in realtà anche un approccio totale alla vita, in cui l’uomo è imbevuto di raccomandazioni, consigli, regole e lotta per emanciparsi da tutto questo alla ricerca della propria essenza, unica e onesta. Mentre giungiamo al termine della nostra chiacchierata mi rendo conto che non ho ancora capito però perché i paesaggi urbani siano in secondo piano rispetto alle scogliere, agli alberi su cieli stellati, alle rocce. E qui le risposte stanno nelle esperienze della vita, nell’infanzia in campagna ricca di profumi genuini e luoghi silenziosi, lontano dalla prepotenza urbana. E anche nella sua ricerca di raccontare una storia diversa, con più dettagli, dove le sue visioni si amplificano e diversificano in libertà. E da qui torniamo alla domanda iniziale, alla fonte di dell’ispirazione che è quel luogo che amiamo, dentro di noi, dove possiamo immergerci nella nostra realtà.

 

Giulia D’Incalci

(IL GLOBO, Eureka, giovedì 16 marzo 2017)

(photo credits: Robet Marnika)