Il 9 febbraio del 2016, al Volksbühne theatre di Berlino, viene presentato un nuovo movimento politico paneuropeo, DiEM 25.
L’acronimo sta per Democracy in Europe Movement 2025 in quanto il movimento fondato dal filosofo Srećko Horvat e dall’ex-ministro dell’economia greco, Yanis Varoufakis, si ripropone di “democratizzare” l’Europa entro il 2025, riscrivendone una Costituzione, unica e chiara, che possa finalmente sostituire il ginepraio di Trattati che ad oggi regolamentano l’Unione.
A poco più di un anno dalla sua fondazione, il movimento vanta già 64.000 iscritti in tutto il vecchio continente e non solo, in quanto la caratura di alcuni dei suoi personaggi chiave, provoca una forte eco anche oltre oceano grazie all’attività svolta per DiEM, ad esempio, dal filosofo statunitense Noam Chomsky, o quella prestata dall’attivista australiano Julian Assange.
Considerata quindi la rapida ascesa del movimento e il fatto che tra i punti fondamentali del Manifesto di DiEM ci sia la voce “migrazioni”, viene da chiedersi a “democratizzazione” eventualmente effettuata, come cambierà lo status di “europeo all’estero”, che dovrà discendere direttamente dalla nuova forma giuridica della Cittadinanza Europea: “Il nostro concetto di cittadinanza si esprime al meglio nell’idea di ‘demos’”, ci rispondono dal Comitato Nazionale Provvisorio (PNC) di DiEM25 Italia, “[concetto] che si potrebbe tradurre letteralmente come “popolo”, ma che in effetti è una specie di “realtà aumentata” dell’idea classica di popolo e di nazione a cui siamo abituati storicamente in Europa.
Demos è un immaginario collettivo che rinasce, è la volontà delle persone di partecipare ai processi politici e quella di riattivare la solidarietà sociale. Demos è anche la richiesta di trasparenza che presentiamo ostinatamente alle istituzioni europee. Demos è tutto quello che il modello neoliberista sta soffocando nella nostra vita quotidiana.
Questo modello di cittadinanza per cui lavoriamo richiede un quadro giuridico europeo che trascenda lo stato-nazione. Tale obiettivo è senza precedenti ed ambizioso, lo sappiamo, ma siamo decisi ad introdurre questa realtà nell’agenda politica, anche se queste idee fanno fatica a passare nel dibattito pubblico italiano ed europeo.”
E’ difficile però oggi identificare una semantica unica del “migrare”, si pensi al nuovo flusso di immigrati italiani qui in Australia o più in generale ai cosidetti “migranti economici”, completamente abbandonati a loro stessi da entrambe le sponde sociali e politiche che connotano il loro viaggio. È quindi fondamentale che, chi si addentra in questo campo, definisca il proprio concetto del “migrare” e così fa DiEM Italia specificando che “ Ci sono tre dimensioni che entrano in gioco ogni volta che si parla di migrazioni. È come un campo di battaglia sul quale troviamo una linea del fronte che sono i territori dove le persone e le comunità vivono i conflitti diretti, a volte perfino fisici, generati dal fenomeno. Da questo si sale verso il comando operativo dei governi nazionali dove si prendono decisioni che, a livello locale, vengono percepite come mere imposizioni e che quindi aumentano frustrazioni e risentimento. Da ultimo lo stato maggiore, il livello europeo, che sembra indifferente a quello che succede sul terreno. Questo schema si ripete in molti ambiti della politica attuale.”.
Il Comitato Nazionale prosegue poi entrando più nel merito della questione Europea, quando precisa, “Per quanto riguarda frontiere e migrazioni, pensiamo che l’Unione Europea abbia un disperato bisogno di una politica realistica basata sui diritti umani. Il nocciolo del problema è la mancanza di una soluzione concreta per l’integrazione dei rifugiati in tutta Europa. Questo mette l’Unione nella pericolosa posizione di dipendere da altri paesi – alcuni fortemente instabili – per la gestione della situazione. Affidarsi alla Libia, ad esempio, significa entrare nel magma velenoso degli scontri in atto nel Paese. Così come dare soldi alla Turchia per farle fare da cuscinetto contro i rifugiati in arrivo, vuol dire di fatto legittimare un Paese che sta precipitando in una vera e propria dittatura.
Dall’altro lato, l’accoglienza dal basso sta subendo un attacco frontale attraverso una dilagante criminalizzazione delle attività di volontariato in cui attivisti ed attiviste vengono perseguitati con fogli di via dai luoghi dell’accoglienza, multe e sgomberi. Anche la difesa legale, portata avanti da team di avvocati pro bono, diventa sempre più difficile a causa di leggi contorte e contraddittorie in tema di migrazioni. Tutto questo ingolfa il sistema di volontariato al punto che mancano le energie per imporre ed alimentare il dibattito sulle scelte normative cruciali come, ad esempio, il Regolamento di Dublino.”.
Non certo un panorama roseo quello dipinto dall’attuale emanazione italiana di DiEM 25, che non manca però di suggerire una soluzione, “Quello di cui abbiamo bisogno è un’alternativa che parta dal basso, guidata da quelle città che non solo vogliono integrare i migranti, ma hanno anche l’esperienza quotidiana su come farlo. Barcellona, Madrid, Napoli, così come Berlino e La Coruña, sono esempi di accoglienza positiva. Pensiamo che debba esserci un rapporto diretto tra città e istituzioni europee per trovare soluzioni che ripristinino il senso di umanità collettivo e, di fatto, producano soluzioni nell’interesse di tutti.”.
Sulle tendenze future, il Comitato non ha dubbi e l’analisi ci sembra chiara e piuttosto adatta a qualsiasi matrice sociale, certamente non solo quella Europea, “Le migrazioni non sono un episodio transitorio. Sono un fenomeno umano millenario che in questo periodo storico si è rimesso in moto potentemente. Non si fermerà e sarà sempre più multiforme. Quindi abbiamo bisogno di procedure comunitarie efficaci per l’asilo politico e canali istituzionali affidabili per assicurare alle persone in partenza dai loro Paesi un visto per cercare lavoro legalmente.”.
Fabrizio Venturini
(IL GLOBO, Eureka, giovedì 21 settembre 2017)