L’Australia e i suoi valori, una lettera…

lettera

Pubblichiamo, esprimendo la nostra vicinanza alle sue parole, una lettera inviataci da uno dei nostri lettori.

 

Cari melbourniani,

chi vi scrive è un vostro concittadino che, de facto, è tale oramai da quasi tre anni, ma che, de jure, dopo la recente decisione del governo circa la cancellazione dei visti”457”, probabilmente non lo sarà mai.

La mia storia è comune a tanti altri, molto più comune di quelle storie “di successo” che spesso occupano le appendici dei giornali, restituendo un’immagine lontana dalla realtà, fatta di pizzaioli italiani partiti con la valigia di cartone e divenuti capitani d’azienda milionari in pochi anni, o geni incompresi ai margini delle proprie alma mater asiatiche, trasformatisi nel giro di pochi semestri, in capi dipartimento in qualche prestigiosa università australiana.

Non che io non riconosca che ci siano casi del genere, intendiamoci, ma raccontare solo questi casi limite è fuorviante per chi legge dell’Australia da posti lontani e ingiusto nei confronti degli australiani stessi, che finiscono così per sembrare solo degli “sparring partner” dei loro neo-concittadini, incapaci di competere con il mercato globale.

Io nuoto, tutti i giorni, in quel mare grande fatto di Working Holiday Makers, detentori di Student Visa, “457” Visa e cittadini Neozelandesi residenti in Australia, che vivono, lavorano e contibuiscono fiscalmente alla società di cui sono parte, costituendo però una classe sociale molto particolare, che Peter Mares deifinisce dei new-metics.
Metic
, nell’antica Grecia, era il nome che si dava agli stranieri che vivevano nelle Città Stato, e che nella tripartizione delle classi, occupavano un posto intermedio tra i cittadini, e i non-liberi. Nonostante i metics poessero spesso avere un importante ruolo sociale o economico (Aristotele era un metic), questo generone umano non poteva godere di diritti politici, come non hanno possibilità si esprimersi politicamente i new-metics, destinati a essere dei contribuenti pseudo-residenti, sospesi in un limbo di “eterna temporaneità”.

Ma se la Grecia Antica vi sembra troppo lontana, sia nel tempo che nello spazio, si può rimanere all’interno del Commonwealth per dimostrare che la civiltà abbia già bollato come inaccettabile, l’assenza di rappresentanza per un essere economicamente produttivo.

Il Boston Tea Party per esempio, da cui scaturi l’indipendenza degli Stati Uniti d’America, si imperniava sul principio del “No Taxation Without Representation”, quello stesso principio su cui, non lontano da casa nostra, a Ballarat, si sono erette le Eureka Stockade, e si è combattuta quella battaglia conosciuta come la “birth of democracy” australiana e che l’edificio più alto di Melbourne, la Eureka Tower, ricorda tutti i giorni a tutti gli abitanti della città, senza distinzione tra cittadini australiani o new-metics.

Il movimento di opinione che nacque sulle colline di Ballarat nel 1854, oltre a confermare la validità di quel principio che ha ispirato venti di indipendenza in tutto il Commonwealth, ha il doppio valore di restituirci quella che era, e che è ancora oggi, la più grande ricchezza australiana: il multiculturalismo.

Nessuno viaggia più di 17.000 chilometri per qualche dollaro in più l’ora, né per la fascinazione della corsa all’oro. Chi arriva qui, lo fa principalmente per quella idea di “fair go” che oggi è minacciata e per la possibilità di far parte di un tessuto sociale vibrante, che sappia fare della diversità ricchezza, come è sempre stato nei momenti più produttivi della storia.
Anche in quel 1854 a Ballarat, chi dall’Europa arrivava a lavorare in quelle miniere, cercava si una stabilità economica essenziale nel quotidiano, ma era spesso una persona animata anche da un forte desiderio di giustizia sociale. Gli esempi sono numerosi: Raffaello Carboni, autore dello stesso libro “Eureka Stockade” e tra gli ispiratori del movimento dei minatori, non era certo un disperato che aveva investito il suo ultimo dollaro nel viaggio verso l’Australia, ma un notabile italiano della Repubblica Romana, che per aver combattuto la causa di Mazzini e Garibaldi, subì persecuzioni tali che lo portarono a riparare “Down Under”. Come Carboni, anche Peter Lalor non aveva lasciato la sua Irlanda per indolenza, ma perchè non si riconosceva più in una realtà che lui considerava ingiusta, e come loro tanti altri. 

Con lo stesso spirito molti vengono ancora oggi qui, investendo tempo, soldi, energie e speranze, in percorsi che ora sembrano cancellabili con un tratto di penna o con un video di pochi secondi caricato su facebook.
Ma una società moderna, animata da valori virtuosi, dovrebbe incoraggiare e non scoraggiare chi vuole genuinamente e produttivamente farne parte, e dove prima ci veniva in soccorso la storia ora subentra la stessa economia politica, ribadendoci con le parole di John Stuart Mill che “it is a great discouragement to a individual, and still a greater one to a class, to be left out of the constitution; to be reduced to plead from outside the door to the aribtrers of their destiny, not taken into consultation within”, e ancora, continuava Mill che lo aveva ben chiaro più di 150 anni fa, “The maximum of the invigorating effect of freedom upon the character is only obtained when the person acted on either is, or is looking forward to becoming, a citizen as fully privileged as any other”.

Io, da abitante di Melbourne, lo so che questo è ancora il posto giusto per affermare i valori non solo australiani, ma che sono comuni a tutto il mondo libero e solidale, ma da new metic, non posso contribuire attivamente al confronto politico che li difenda, ora che sono minacciati.

Quello che vi chiedo quindi, a voi cittadini dai fully privilege, è di non stare a guardare e partecipare al dibattito, per far si che l’Autralia sia ancora, e sia sempre di più, il paese che avanza in maniera equa (advance fair), un paese in cui qualsiasi signora inglese possa trasferirsi dall’Europa, con la consapevolezza che, partecipando operosamente alla vita pubblica, possa creare le condizioni per suo nipote di raggiungere qualsiasi successo, anche quello di poter diventare un giorno Primo Ministro, ed esprimere, in piena libertà, la sua particolare visione di multiculturalismo in un video su facebook di pochi secondi.

Jimmy Grants