L’Italia forma menti brillanti e poi le fa fuggire arrabbiate: il caso della ricercatrice contro il ministro Giannini

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 14-01-2014 Roma Politica Scelta Civica presenta proposta per Legge Elettorale Nella foto Stefania Giannini (segretario Scelta Civica) Photo Roberto Monaldo / LaPresse 14-01-2014 Rome (Italy) Scelta Civica party shall present a proposal for the Electoral Law In the photo  Stefania Giannini

ROMA – La notizia è che 30 ricercatori italiani sono tra i vincitori dei 302 assegni di ricerca attribuiti per il 2015 dall’Erc (European research centre).
La polemica è scaturita quando il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, si è complimentata su Facebook con i ricercatori e le ricercatrici parlando di “ottima notizia per la ricerca italiana”. Un commento che ha scatenato la rabbia della linguista Roberta D’Alessandro, vincitrice di due milioni di euro per il suo progetto di ricerca sui dialetti dei migranti italiani in Sud America e Nord America.
“La prego di non vantarsi dei miei risultati” ha risposto al ministro Giannini, sottolineando come questi siano olandesi e non italiani.
Già. Perché oltre la metà dei ricercatori italiani a cui è stata assegnata una Erc, 17 per la precisione, lavorano per università straniere. Tra questi ‘cervelli in fuga’ c’è anche Roberta che, dopo una laurea all’Aquila e un dottorato in Germania, ha tentato il rientro in Italia ma si è sempre vista la porta sbarrata in faccia.
“L’Italia non ci ha voluto, preferendoci, nei vari concorsi, persone che nella lista degli assegnatari dei fondi Erc non compaiono, né compariranno mai” continua la ricercatrice, che ora vive e lavora in Olanda, nel suo post in cui si percepiscono forti la rabbia e l’amarezza nei confronti di un’Italia dove le conoscenze e il nepotismo sono ancora più importanti del merito. Un Paese dove molti vorrebbero tornare ma che non offre opportunità e si lascia così sfuggire le proprie menti migliori.
Ed è un vero peccato, perché è anche grazie all’Italia se questi 30 studiosi hanno raggiunto questo importante traguardo. Nella maggior parte dei casi, infatti, è in Italia che si sono formati, dalla scuola elementare all’università, una prova che l’istruzione italiana funziona, altrimenti non saremmo al terzo posto in Europa, insieme alla Francia, per numeri di assegnatari. Il problema non è il percorso di studi ma la totale mancanza di sbocchi al suo termine. Gli ostacoli per entrare e farsi strada in un mondo universitario dominato da anacronistici ‘baroni’.
All’estero non ci sono ricercatori migliori, semplicemente più volontà di investire. Non solo da parte del governo, ma anche da parte delle aziende che si rivolgono agli atenei, stimolando la competitività e l’assunzione dei ricercatori migliori. L’Italia deve mantenere il proprio sistema universitario accessibile, senza seguire il modello dei paesi anglosassoni dove studiare è caro e gli studenti entrano nel mondo del lavoro pesantemente indebitati, ma allo stesso tempo deve pensare anche al dopo, con investimenti su ricerca e sviluppo che non possono limitarsi all’1,30% del Pil come avviene adesso (dati Istat 2013). L’Italia non può più permettersi di formare menti eccellenti e poi costringerle a scappare via disilluse e arrabbiate, sentendosi rifiutate o in una perenne battaglia contro i mulini a vento.

Pubblicato su Il Globo 18-2-2016 / Tutti i diritti riservati