I lavoratori temporanei in Australia e la paura di denunciare lo sfruttamento sul lavoro
Messi con le spalle al muro da un sistema che sta creando fratture profonde tra diverse categorie di lavoratori. È questa la situazione in cui si trovano i lavoratori italiani temporanei in Australia, quando sono vittime di episodi di sfruttamento sul proprio posto di lavoro.
Un quadro che emerge dall’approfondita ricerca pubblicata dal professore di Diritto del Lavoro dell’Università di Melbourne, Ian Campbell, e da un team di esperti del settore di cui fanno parte Maria Azzurra Tranfaglia, dottoranda presso la facoltà di Diritto della stessa università e responsabile del Forum sui diritti dei lavoratori Work in Progress (Nomit), Joo-Cheong Tham, professore di Diritto del Lavoro sempre all’Università di Melbourne e Martina Boese, del dipartimento di Studi Sociali della La Trobe University.
Mosso dall’obiettivo di comprendere le ragioni per cui i lavoratori temporanei non si attivano per denunciare situazioni di sfruttamento di cui sono vittime, lo studio, che ha approfondito in particolare il caso dei lavoratori italiani arrivati in Australia negli ultimi anni, ha confermato che la maggior parte non prende in considerazione l’ipotesi di denunciare trattamenti illegali subiti sul posto di lavoro soprattutto per il timore di ritorsioni del datore di lavoro nei loro confronti. Dal taglio dei turni, per chi è impiegato con contratti casual, al mobbing o al licenziamento, fino al timore di essere essi stessi denunciati al dipartimento di Immigrazione dal proprio datore di lavoro. Sono situazioni che si sentono spesso nei racconti dei ragazzi italiani e che costituiscono un rischio troppo grande per chi è da poco arrivato in Australia e deve pensare a come mantenersi a grande distanza dalla propria casa e dalla propria famiglia.
Il gioco non vale dunque la candela, e questo soprattutto perché qualora decidessero di denunciare, i lavoratori migranti temporanei si troverebbero soli e senza il supporto sociale necessario. Per loro, infatti, non esistono le tutele come il sussidio di disoccupazione, che invece sono previste per tutte le altre categorie di lavoratori di nazionalità australiana. Quindi, per i lavoratori temporanei, scontrarsi con il proprio datore di lavoro, denunciando una situazione di illegalità, che non danneggia solo loro stessi ma impatta anche profondamente sulle regole della concorrenza di interi settori produttivi, non conviene. Non conviene rispettare e far sì che le regole siano rispettate, perché il sistema in cui i lavoratori temporanei sono inseriti li mette appunto con le spalle al muro: denunciare e perdere l’unica fonte di sostentamento, anche se misera, oppure fare un passo avanti, aiutando se stessi e la società in cui si vive a migliorare, ma rischiando di perdere l’unica fonte di reddito con cui si paga l’affitto? La risposta sembra scontata.
A non dover essere dato per scontato è invece che una tale situazione sia l’effetto distorto di alcune regole migratorie e sociali nel sistema odierno. Un sistema iniquo perché ogni lavoratore che paga le tasse dovrebbe avere pari diritti e doveri, visto che contribuisce con le sue imposte a mantenere il welfare del Paese dove vive, ma anche un sistema dannoso per se stesso, perché non agevolare la denuncia di situazioni di illegalità sbilancia la concorrenza, sia tra lavoratori, sia nel settore produttivo in cui questi lavoratori sono impiegati, visto che un’azienda che non rispetta i salari minimi o non paga i contributi ha un vantaggio scorretto nei confronti di una concorrente che invece rispetta le regole.
Il messaggio che un tale sistema rischia di trasmettere dunque è che a vincere è il più furbo, colui che è pronto a sfruttare persone in difficoltà, traendone un doppio vantaggio economico. Riflettere su questo aspetto è a mio avviso importante per chi queste regole ha il compito di stabilirle, prima che questa situazione vada fuori controllo, inquinando interi settori economici del Paese. Leggere dunque con attenzione questo studio, che offre anche molte altre osservazioni oltre a quella qui evidenziata, fornisce efficaci strumenti per immaginare soluzioni che, coordinando politiche migratorie e di welfare, facciano sì che quantomeno non sia svantaggioso per i lavoratori migranti denunciare situazioni di sfruttamento. Magari, prevedendo un sussidio di disoccupazione che supporti almeno coloro che agiscono attivamente in questo senso e si espongono in prima persona per il bene della società tutta.
Luca M. Esposito
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