Nella morsa del Gattopardo: La politica italiana in vista delle elezioni

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Questo articolo e’ stato originalmente pubblicato in inglese su Australian Outlook, la rivista di relazioni internazionali dell’Australian Institute of International Affairs a questo indirizzo: http://www.internationalaffairs.org.au/australianoutlook/gordian-knot-2018-italian-elections/

 

Dopo la vittoria del candidato di destra nelle elezioni siciliane di novembre e con la prospettiva di un ritorno di fiamma di Silvio Berlusconi nell’arena elettorale, è tempo di riconsiderare il panorama politico italiano alla vigilia del voto nazionale previsto entro maggio 2018.

Dopo quasi cinque anni di aspra lotta politica, il parlamento ha finalmente approvato la riforma elettorale richiesta dalla Consulta che ha stabilito la parziale incostituzionalità della versione precedente. L’Italia è pronta per andare alle urne nel 2018. Il nuovo sistema di votazione è un sistema misto proporzionale / maggioritario che ha suscitato feroci critiche da parte dei partiti di opposizione, in particolare il Movimento 5 Stelle e i gruppi a sinistra del Partito Democratico. Le critiche derivano non solo dalla sostanza altamente contorta del nuovo sistema, ma anche perché il governo a trazione PD guidato da Paolo Gentiloni ha forzato un inusitato voto di fiducia e ha minacciato di bloccare la legge di bilancio per passare la riforma senza ulteriori dibattiti e modifiche.

Non sorprende che anche il blocco della destra ha sostenuto senza esitazioni la riforma elettorale, in considerazione del fatto che tale sistema ibrido dovrebbe favorire le coalizioni rispetto ai partiti che vanno alle elezioni da soli, come il M5S e i fuoriusciti del PD.

Gli ultimi sondaggi di opinione pone le intenzioni di voto per tutte e tre le principali fazioni, ovvero l’alleanza centrista che fa fulcro sul Partito Democratico, il M5S e la coalizione di destra, intorno al 30 per cento, con la destra leggermente in testa. Per il resto, le schegge di sinistra che per ora corrono da sole non raggiungerebbero il 10% neanche se si federassero in un’unica lista.

Le prime simulazioni dell’allocazione proporzionale dei seggi (circa i due terzi del totale) mostrano che nessuna singola fazione avrebbe i numeri per andare al governo autonomamente. Pertanto, con l’attuale schieramento di partenza, c’è un’alta probabilità che il prossimo parlamento italiano sarà bloccato fintanto che non si formi una piu’ ampia coalizione di governo.

A complicare ulteriormente questo quadro, nemmeno una controversa alleanza post-elettorale tra il blocco PD  e Forza Italia dovrebbe avere i numeri per formare un governo “Renzusconi”, un’opzione potenzialmente percorribile dato che Renzi e Berlusconi non hanno mai fatto mistero di apprezzarsi a vicenda.

A questo punto l’unica opzione rimasta per evitare uno stallo politico molto dannoso – simile al caso spagnolo nel 2016 – è una cosiddetta grande coalizione tra l’intera coalizione di destra (compresa la Lega Nord e Fratelli d’Italia) e i vari gruppi centristi orbitanti intorno al PD. È dunque probabile che Renzi sarà ancora una volta frustrato nella sua ambizione di riprendersi la presidenza del consiglio persa dopo il famigerato referendum costituzionale del dicembre 2016. Non solo il PD rischia seriamente di raccogliere molti meno voti della destra unita, ma per di più al di fuori del PD Renzi ha pochi estimatori oltre la ristretta cerchia di Berlusconi, visto che i falchi conservatori contestano il suo programma di riforma sociale di stampo vagamente progressista, in particolare sulle unioni civili e sulla cittadinanza. Questo si aggiunge al fatto che Renzi ha anche alienato le voci riformiste all’interno e alla sinistra del PD per il suo stile di comando autoritario e l’agenda economica neoliberista.

A questo punto, l’attuale presidente del consiglio Paolo Gentiloni ha maggiori possibilità di rimanere in carica grazie alle sue posizioni più malleabili, ma solo se il PD riuscisse nell’ardua impresa di rimanere il maggiore gruppo politico italiano. Diversamente, è presumibile che il blocco di destra si arroghi la scelta di un conservatore alla guida del governo di grande coalizione, qualcuno come Antonio Tajani, ex sodale di Berlusconi e attuale presidente del Parlamento europeo. In una situazione di paralisi parlamentare prolungata, non sarebbe da escludersi un’altro repentino voto, che potrebbe poi aprire la strada a una soluzione tecnico-istituzionale come ai tempi del defenestramento di Berlusconi ad opera di Mario Monti nel 2011. Questa volta potrebbe essere chiamato in campo Mario Draghi, il cui mandato come presidente della Banca Europea si conclude nel 2019.

Nel frattempo, il gruppo di comando del M5S non appare troppo preoccupato da queste prospettive, ma piuttosto sembra intento a capitalizzare questo panorama d’incertezza per una strategia di lungo termine. Infatti il M5S si sta posizionando in patria e negli affari europei come il paladino della democrazia diretta e il cane da guardia dei diritti costituzionali sotto attacco dalla cosiddetta casta, o ‘establishment’. Inoltre, il carismatico co-fondatore del M5S Beppe Grillo si avvicina ai 70 anni e sta gradualmente allentando la presa, lasciando emergere una giovane classe dirigente, come appunto la designazione del 31enne Luigi Di Maio a candidato per la presidenza del consiglio mostra.

Il M5S ha quindi una visione di lungo raggio, poiché questa transizione generazionale del gruppo dirigente potrebbe richiedere almeno un altro decennio per giungere a piena fruizione. In altre parole, prima che il M5S sia pronto per prendere le redini del paese, sembra che Grillo si accontenti di giocare un forte ruolo di opposizione a livello nazionale e in Europa. Nel frattempo il M5S potra’ solidificare ed espandere il sostegno popolare nelle amministrazioni locali attraverso strumenti di democrazia diretta e altre iniziative di attivismo politico dal basso. Per certi versi, questo è molto simile a quello che fece il Partito Comunista Italiano nel dopoguerra fino al terremoto di tangentopoli nel 1992. Il PCI delle origini repubblicane infatti assunse un ruolo di stabilizzazione costituzionale e di arricchimento democratico e pluralista come forza trascinante e costruttiva della politica anti-sistema nelle istituzioni e nella società civile. Dopo la caduta della Democrazia Cristiana e la trasformazione in chiave socialdemocratica del PCI nel 1993-94, Berlusconi si propose come interprete di quel ruolo antagonista, senza reale titolo perché la sostanza della sua proposta anti-sistema si è via via dimostrata priva di sostanza politica e peraltro troppo personalizzata.

Dopo una generazione perduta per un’effettiva politica pluralista e antisistema in Italia, il M5S si è ben posizionato per diventare il PCI 2.0 e come tale potrebbe offrire all’Italia e forse all’Europa una vera politica di opposizione costruttiva, che resta essenziale per la conservazione e il continuo rinnovamento del pluralismo democratico. Dopo tutto, il populismo distruttivo e illiberale dell’uomo forte tende a diffondersi come le erbacce nel vuoto di potere creato dal disimpegno politico, che è particolarmente diffuso quando la popolazione si sente bloccata in uno status quo controllato da forze impenetrabili e immutabili.

In vista o anche all’indomani delle prossime elezioni, sembra difficile, ma non del tutto impossibile che la sinistra radicale si unisca e poi si allei con il M5S, poiché vi è una certa sovrapposizione tra le due aree nelle loro piattaforme ecologiche e anti-globalizzazione. D’altro canto, una grande coalizione tra il centro tradizionale e la destra potrebbe quindi preannunciare una svolta a sinistra per il M5S. Questa svolta potrebbe senz’altro trasformare la sua piattaforma politica finora incoerente e vaga in una forma più sostanziale di populismo democratico e anti-sistema simile all’alleanza di sinistra Unidos Podemos in Spagna.

Per riassumere, la nuova legge elettorale potrebbe spingere il PD di Renzi in una grande coalizione con la destra. A giudicare dalla recente storia dei maggiori partiti socialdemocratici in Europa, questo potrebbe rivelarsi un abbraccio mortale per il centrosinistra italiano post-guerra fredda. Posto che forme di populismo progressista riuscissero a coagulare e maturare all’opposizione e che nel frattempo l’Italia non cada preda di una deriva di destra autoritaria come in Ungheria e Polonia, saranno invece il M5S e la sinistra extra-PD a colmare il vuoto nel campo anti-sistema nel solco della tradizione democratica e pluralista dell’Italia repubblicana. Dopotutto, “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, Giuseppe Tomasi di Lampedusa famosamente scrisse nel sempre attuale Il Gattopardo.

Giovanni Di Lieto