Il 2018 è stato un anno molto speciale per tutti gli italiani in fatto di salute mentale: quest’anno abbiamo infatti festeggiato i 40 anni dall’approvazione della Legge 180 o Legge Basaglia.
Io vengo dal Friuli, una regione molto importante per la salute mentale, perché è proprio in Friuli che per primo lo psichiatra e neurologo Franco Basaglia ha sperimentato questa legge aprendo i manicomi prima di Gorizia e poi di Trieste. Per l’Italia, il 1978 è stato un anno di grandi cambiamenti. Pochi giorni dopo l’uccisione di Aldo Moro, il 13 maggio, il Parlamento italiano ha emanato la Legge 180. Questa legge ha però diviso l’opinione pubblica e il mondo politico, perché l’idea di “liberare i matti” non poteva non destare paura e apprensione.
Chi ha visto e conosciuto il manicomio dopo il 1978 non può immaginare ciò che quell’istituzione aveva rappresentato fi no ad allora. La Legge Basaglia ha davvero rivoluzionato il modo di vedere la salute mentale. Prima della legge, chi aveva un disturbo mentale veniva considerato solo un disadattato, un emarginato, una persona priva di diritti civili. Mentre Basaglia, con questa legge, ha ridato dignità alla persona con disturbi mentali, che è stata infatti vista, per la prima volta, come una semplice persona malata. Avere una malattia mentale era come avere un tumore o un’infezione. Gli ospedali psichiatrici fino ad allora erano stati uno spazio di esclusione e di emarginazione, dove erano relegate le miserie umane e la diversità, tutto ciò che per la società di allora andava nascosto al mondo. Luoghi di emarginazione e di dolore, dove spesso i malati venivano dimenticati persino dai propri cari. C’erano il reparto degli agitati, dei violenti e poi quello dei suicidi, degli infermi e dei cronici. I malati, prima del 1978, venivano sottoposti a elettroshock e ad operazioni di chirurgia, come la lobotomia. Spesso chi varcava il cancello del manicomio non faceva più ritorno alla vita “normale”, finendo i suoi giorni imprigionato tra quelle mura.
L’attuazione della Legge 180, spettando alle Regioni, non è stata immediata né uniforme. Ogni amministrazione ha legiferato per conto proprio, con risultati eterogenei e spesso fallimentari. In alcuni casi non sono stati applicati i principi cardine della legge, determinando uno stato di abbandono e di degrado delle strutture manicomiali e dei malati.
Soltanto nel 1994, con l’approvazione del “Progetto Obiettivo, tutela della salute mentale 1994-95”, che delinea le strutture da attivare a livello nazionale, è stata attuata la defi nitiva riorganizzazione dell’assistenza psichiatrica. Infine, entro il 31 dicembre 1996, è stata disposta la chiusura defi nitiva di tutti gli ospedali psichiatrici. Si segna così la fine di un’epoca. Il simbolo di questa liberazione è un cavallo azzurro, Marco Cavallo, che ha accompagnato i ‘matti’ per la prima volta in città a Trieste quando i cancelli del manicomio si sono finalmente aperti. La statua di Marco Cavallo ancora oggi troneggia tra gli ex padiglioni di Trieste che non ospitano più il manicomio ma centri, associazioni e residenze specializzate all’aiuto delle persone con disturbi mentali, gestite da cooperative sociali. Tra quelle mura possiamo anche trovare la sede di un’emittente radiofonica, “Radio Fragola”, un bar, “Il posto delle fragole”, meta di incontro anche di molti triestini, e un bellissimo parco che ospita attività culturali e manifestazioni.
Sono venuta a conoscenza di tante storie durante il mio lavoro durato più di 10 anni nelle residenze adibite a ospitare, dopo la chiusura del manicomio, le persone con disturbi mentali. Ho conosciuto persone speciali che hanno dovuto putroppo trascorrere una vita intera in maniconio. Mi ricordo con piacere Rosa. Sua mamma l’aveva partorita in manicomio, quindi il manicomio rappresentava da sempre la sua unica realtà. Quando i cancelli si sono aperti mi raccontava che aveva avuto una gran paura. “Cosa ne sarà di me?”, si chiedeva. Ma poi i cancelli si sono aperti e lei ha iniziato a vivere come una persona ‘normale’. Ricordo ancora con piacere la gioia nei suoi occhi quando si faceva assieme la lista della spesa e la portavo al supermercato lì vicino per fare la scorta della settimana. La gioia negli occhi di Rosa mi ha fatto capire che in quegli anni Basaglia ha davvero lottato per qualcosa di giusto, per qualcosa, oserei dire, fondamentale per la dignità di tutti gli esseri umani.
ROBERTA GOTTARDO (Psicologa italiana a Melbourne – robertagottardo.com)
(IL GLOBO – Eureka, giovedì 20 dicembre 2018)