“Dobbiamo tracciare una linea da qualche parte”.
Con queste parole il ministro del Tesoro Josh Frydenberg, una sera di metà aprile, tracciò la linea che separava i lavoratori con contratti casual con impiego da meno di 12 mesi (tra cui molti occupati nel settore del retail e dell’ hospitality, insegnanti che hanno cambiato scuola, impiegati nei settori dell’intrattenimento e delle arti e delle costruzioni) e i lavoratori stranieri con visti temporanei, dal resto dei lavoratori australiani. Per i primi, nonostante con il proprio lavoro contribuiscano all’economia australiana e con le proprie tasse al mantenimento dei servizi essenziali della società, non ci sarebbe stato nessun sussidio. I secondi sarebbero invece stati aiutati dal governo.
“Chi non può mantenersi torni nel proprio Paese” disse il governo a tutti i lavoratori migranti in quegli stessi giorni, perché, spiegò lo stesso ministro del Tesoro, non possiamo permetterci di pagare dei sussidi anche a loro.
Poi un bel giorno, verso la fine di maggio, dopo che oltre 2 milioni di lavoratori erano stati lasciati senza supporto in un momento di grave crisi mondiale, mettendo a repentaglio la loro sussistenza e quella delle loro famiglie, si scoprì che, per un banale errore di calcolo del ministero guidato da Josh Frydenberg, quei soldi invece c’erano eccome. Centinaia di migliaia di famiglie non avrebbero dovuto soffrire condizioni di vita difficili in queste settimane, non sarebbero state costrette a lasciare la propria vita costruita in Australia con sacrificio, ad abbandonare le proprie case perché non più in grado di pagare l’affitto, ad erodere i pochi risparmi messi da parte con il proprio lavoro. Però purtroppo invece è andata così, perché Josh Frydenberg ha sbagliato a fare qualche calcolo, del quale non ha voluto nemmeno rendere conto al Senato.
E invece sarebbe stato molto interessante capire il motivo di questi conti sbagliati e come sia maturata nel governo la decisione di escludere una parte dei lavoratori dai sussidi se, come poi dimostrato, quei soldi c’erano eccome. Sarebbe interessante sapere se la scelta di discriminare una parte della forza lavoro in Australia sia per Josh Frydenberg e per il governo un fatto ideologico, perché secondo loro un lavoratore che viene dall’estero, ma paga le sue tasse al governo Australiano, vale meno degli altri lavoratori. Se la nazionalità sia per loro una discriminante. Perché se fosse così dovrebbero rileggersi la storia dell’Australia e ricordarsi da dove venivano i loro padri e i loro nonni.
Se invece si è trattato davvero di un errore dettato dal ragionamento contorto che si doveva sacrificare qualcuno per spendere di meno, allora dovrebbero rileggersi l’inno nazionale australiano, che parla di una società fondata sull’imparzialità e sulla giustizia. C’è chi sostiene anche che sia stata una scelta fatta per mero tornaconto politico, un modo per dividere la classe lavoratrice creando sacche di vulnerabilità proprio in quei settori della forza lavoro già resi vulnerabili dalla precarietà della propria condizione. E così rendere quella parte dei lavoratori ancora più sfruttabili e indebolire il peso di tutti i lavoratori all’interno dell’architettura sociale. Se così fosse i membri del governo dovrebbero andarsi a rivedere le leggi sul lavoro australiane e riflettere sul fatto che proprio sul duro lavoro si fonda la prosperità di questo Paese. Infine sarebbe stato curioso sapere se invece è proprio con la matematica che al ministero del Tesoro hanno gravi problemi, ma nessuno di noi vuole credere che sia davvero così, altrimenti significherebbe che l’Australia e la sua economia sono nelle mani di persone poco competenti.
E allora non sarebbe affatto male se l’idea di puntare sull’accrescimento di qualifiche e competenze nel mondo del lavoro, espressa dal governo in vista della fine dei sussidi, riguardi anche agli stessi membri del gabinetto, così da prepararli meglio anche su conoscenze fondamentali come la storia, o l’educazione civica, il diritto del lavoro o la matematica. Pur essendo competenze di base infatti il loro apprendimento svolge un ruolo essenziale nella formazione di una coscienza civica, qualità essenziale che occorre possedere prima di tracciare linee e prendere decisioni arbitrarie, stravolgendo la vita di centinaia di migliaia di persone. Aiuterebbe il governo a capire che gli errori si possono fare, che tutti compiono errori nello svolgere il proprio lavoro, ogni giorno e che la cosa cruciale non è non sbagliare mai, perché impossibile, ma riconoscere i propri errori e porvi rimedio. Così riconoscerebbero che oggi usare quei soldi avanzati per rimediare ad una decisione arbitraria, presa sulla base di errori macroscopici, è un atto di giustizia sociale ed eviterebbero di paragonare la vita delle persone ad un hot tub.
E quindi realizzerebbero finalmente che senza giustizia sociale i conti di Frydenberg sarebbero stati sempre e comunque sbagliati.
(Tratto da un commento comparso sul Globo dell’11 giugno 2020: https://ilglobo.com/news/senza-giustizia-sociale-i-conti-di-frydenberg-non-sarebbero-tornati-comunque-50220/#)