Sulla rotta dei finanziamenti europei

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Nonostante i dati del 2015 attestino come su oltre 500 milioni di residenti in Europa ci siano solo il 7% di immigrati (35 milioni), la percezione sull’opinione pubblica è di una vera e propria invasione in corso.

La realtà sembra essere invece quella di un territorio europeo dove l’impatto del flusso migratorio è molto squilibrato.

Per effetto degli accordi di Dublino infatti, Italia e Grecia stanno subendo il peso maggiore della crisi umanitaria, mentre le politiche di ricollocamento, che prevedono il reinserimento nei Paesi europei di almeno 160mila richiedenti asilo entro settembre 2017 sono al palo, con soltanto 16mila persone accolte. Anche qui la disparità è il tratto caratterizzante, con soltanto Germania e Finlandia che hanno finora rispettato gli impegni presi. Un dato su tutti offre il quadro del fallimento delle politiche europee: di 5mila minori non accompagnati arrivati in Italia, solamente uno è stato accolto in un altro Paese del Vecchio Continente.

Intanto, il sistema di accoglienza praticamente già collassato in Grecia, è allo stremo anche in Italia e la criticità della situazione alimenta in tutta Europa il sorgere di forze politiche che sfruttano il disagio sociale che la questione migratoria porta con sé. Nel timore di terremoti politici che potrebbero condurre alla sua drastica sostituzione, la classe dirigente dei Paesi europei si è affrettata da un lato ad applicare stringenti politiche sulla sicurezza che riempiano la pancia delle proprie nazioni, mentre dall’altra sta tentando di bloccare il flusso che attraversa il Mediterraneo con la politica “dell’aiutiamoli a casa loro”.

Questo tipo di politiche, mirate ad aiutare i Paesi in difficoltà come quelli dai quali provengono i migranti, è finanziato da fondi per la cooperazione internazionale e la lotta alla povertà, gestiti dalla commissione europea allo Sviluppo e direttamente controllati dal Parlamento europeo. Le esigenze convergenti di bloccare la migrazione e di aiutare lo sviluppo degli Stati africani, ha dato l’occasione ai leader europei riuniti a La Valletta nel 2015, di istituire un Fondo Fiduciario di Emergenza per l’Africa, affi dato all’Agenzia europea per la migrazione, con il compito di fi nanziare con rapidità iniziative “per affrontare le cause profonde delle migrazioni irregolari”. Per istituire questo Fondo però, sono stati messi a disposizione solamente 152 milioni, attingendo per almeno 2,6 miliardi proprio ai fondi europei riservati alla cooperazione. E fin qui, nulla di male.

Sennonché una giovane giornalista italiana, Ludovica Jona, analizzando il rapporto 2016 del Fondo Fiduciario, è stata insospettita da alcune incongruenze sui progetti finanziati. Ludovica ha deciso dunque di scavare più a fondo, immaginando un progetto di inchiesta che cercasse di svelare come realmente venissero utilizzati i soldi europei della cooperazione. Il progetto da lei ideato, ‘Diverted Aid – come una parte dei Fondi europei allo sviluppo è impiegata per la gestione della migrazione in Africa’, è stato elaborato anche grazie al progressivo coinvolgimento di altri giovani giornalisti e video maker italiani. Tra questi, Joshua Massarenti, “il quale – spiega Ludovica – facendo base a Bruxelles ha accesso più facilmente ad alcuni tipi di documentazione delle istituzioni europee” ed è anche direttore della piattaforma Afronline.org, “con contatti diretti nei Paesi africani oggetto della nostra ricerca”. Ad Agadez, in Niger, c’è, ad esempio, Razak Idrissa, anche lui parte del team di Afronline, mentre a Bamko, in Mali, fa base Andrea De Georgio, fotografo e videomaker freelance che si è unito al gruppo di lavoro di Diverted Aid, arrivato a comprendere ben dieci collaboratori. Il progetto,  poi, grazie anche al supporto di media partner come La Stampa di Torino, ha ricevuto un fi nanziamento dell’European Journalism Centre, di almeno 20mila euro che, seppur non sufficienti per l’enorme mole di lavoro richiesta, permettono almeno ai giornalisti di vedersi rimborsati una parte dei soldi spesi per muoversi da un continente all’altro.

A parte spulciare bilanci e  rapporti infatti, parte essenziale del lavoro del team di Diverted Aid è stato quello di recarsi direttamente in territorio africano per capire da vicino non solo come i fondi venissero utilizzati, ma anche quali fossero le conseguenze di certe tipologie di interventi dei finanziamenti europei. E’ solo a questo punto che Ludovica e il suo team hanno potuto avere il quadro completo, e a tratti desolante, della reale situazione africana. Molti dei fondi europei per la cooperazione infatti, invece che essere utilizzati per il proprio scopo, finiscono per essere impiegati nello sviluppo di un sistema di controllo delle frontiere nei Paesi di transito dei migranti e, in parte, sono serviti persino per acquistare attrezzature militari (“anche se a quanto pare non veri e propri armamenti”, precisa Ludovica), a formare forze di polizia e ad istituire centri per migranti respinti, con sistemi per la raccolta dei dati biometrici. Tutte attività e strumenti che contribuiscono sì ad ostacolare il flusso migratorio, ma non sono certo funzionali allo sviluppo economico e alla risoluzione delle cause profonde che portano alla migrazione. “Anzi – prosegue Ludovica -, chi di noi è stato ad Agadez, ‘la porta del Deserto’, in Niger, ha potuto documentare quello che sta accadendo nei centri di passaggio costruiti in passato per assistere i migranti e ha intervistato persone del luogo, producendo materiale inedito che può essere consultato sulla pagina Facebook dedicata al progetto”. “Per prima cosa – spiega la giornalista -, nella distribuzione dei fondi si sta attuando una politica che privilegia i Paesi coinvolti nella migrazione, i cosiddetti ‘compact’, mentre altri vengono completamente ignorati.

Ma soprattutto, proprio osservando il caso di Agadez, si capisce come una volta bloccate le tradizionali rotte migratorie, il flusso, anziché interrompersi,  ‘si sposta’, deviando su piste meno battute, quindi meno sicure, mettendo ancora più a rischio l’incolumità delle persone”. Questa è la situazione che, ad esempio si sta vivendo in Niger, dove i migranti, per non farsi bloccare, fi niscono per scegliere piste che passano attraverso il deserto, molto più insidiose. Di conseguenza, anche i pochi centri che prima erano presenti sul cammino per assistere i migranti, ora rimangono vuoti, inutilizzati. In più, e questo è il paradosso più grande, anche coloro che poi decidono di tornare indietro, si trovano ora la strada sbarrata dai serrati controlli alle frontiere, rimanendo quindi intrappolati tra i confi ni e preda dei traffi  canti.

L’importanza di un’inchiesta come quella portata avanti dal progetto Diverted Aid diventa quindi essenziale nella valutazione delle politiche adottate dall’Europa e mette in luce le contraddizioni di un programma di finanziamento che mira essenzialmente a non fare arrivare il flusso migratorio sulle rive del Mediterraneo. Come se le persone che invece muoiono nel deserto o in mano alle bande di trafficanti, o di fame, o di sete, o per i massacri, non riguardassero l’Europa. Come se l’unica cosa importante fosse evitare che le persone vadano a morire sulle spiagge del Mediterraneo. “Ciò che si nasconde dietro tutto questo, alla fi ne – sussurra Ludovica -, è sempre una cosa sola. L’ipocrisia”. 

Luca M. Esposito

(IL GLOBO, Eureka, 15 giugno 2017)