Ad Emma Bonino era sembrata un’impresa impossibile.
La storica leader radicale, commentando il numero di firme da raccogliere per presentare un nuovo simbolo alle prossime politiche, lo aveva definito “mostruoso”. “Addirittura ora servono il doppio delle firme rispetto alle scorse elezioni, fissate a 25mila”. Un’ingiustizia antidemocratica che la nuova lista “+Europa” ha aggirato stringendo la mano tesa da Bruno Tabacci, leader di Centro Democratico.
A qualcun altro invece, l’impresa è sembrata “folle”.
Potere al Popolo, la nuova lista indipendente, nata dal basso delle associazioni di scopo e delle istanze popolari però, non aveva alcuna alternativa a questa follia, così, guidati dal loro “capo politico” Viola Carofalo, ci hanno provato per davvero. Ci hanno provato e ci sono riusciti, hanno trovato 52mila sottoscrittori, fatto autenticare le loro firme e la loro identità da un notaio, collegio per collegio, riuscendo dunque dove altri non hanno nemmeno osato provare.
Il prossimo 4 marzo quindi, sarà possibile votare Potere al Popolo in tutta Italia, ma non all’estero perché, durante la raccolta per la Circoscrizione Europa qualcosa è andato storto, come ci racconta la stessa Viola Carofalo. “Il punto di partenza di questa follia che si aggiunge alla follia della candidatura sul territorio nazionale italiano è la profonda convinzione che nessuno vada lasciato solo.”, ci dice la leader del movimento, “Né gli “umiliati e offesi” che vivono nelle nostre città, sempre più invisibili, marginalizzati, criminalizzati e ora anche espulsi; né gli emigranti che, in sempre più casi tali a causa della totale mancanza di possibilità qui in Italia, prendono la via di paesi più o meno vicini, ricalcando le rotte dell’emigrazione del secondo dopoguerra o andando a crearne di nuove. Questi emigranti, nelle cui file ci sono molti nostri amici, parenti, compagni, sono abbandonati a sé stessi. Soli a combattere per sbarcare il lunario. Ecco perché abbiamo deciso di provare a costruire una candidatura popolare anche nella Circoscrizione Europa – per le altre tre macro-regioni previste dalla legge italiana purtroppo non c’erano le condizioni minime per provarci: ricostruire una connessione sentimentale e concreta tra chi è rimasto, e con fatica prova a mettere il piatto a tavola tutti i giorni, e chi è partito, e che va incontro, a latitudini diverse, con problemi molto spesso simili. Insomma, il primo obiettivo è la costruzione di una nuova comunità, in cui la solitudine lasci spazio alla solidarietà e a nuovi legami. Di qui l’organizzazione di assemblee in tante città del Vecchio Continente: Londra, Bruxelles, Madrid, Barcellona, Berlino, Bristol, Dublino, Parigi, Marsiglia…”
L’intenzione c’era dunque, di intercettare anche le esigenze di chi, all’estero, non si sente più rappresentato dai partiti tradizionali, ma qualcosa non ha funzionato ci dice la Carofalo: “Una decina di giorni fa abbiamo iniziato la raccolta firme. Ne servono 500 – da poter raccogliere in tutta Europa – per poter aver diritto alla candidatura. Una cifra solo apparentemente facile da raggiungere. Perché in realtà siamo andati incontro agli ostacoli e alle difficoltà che gli emigranti affrontano nella loro quotidianità. A cominciare da una rete consolare sempre più ridotta, a causa dei continui tagli, e che mina alla base i diritti di cittadinanza che pure lo Stato italiano proclama di voler tutelare a qualsiasi latitudine. Uno smantellamento che ha significato in questi anni la chiusura di molte sedi consolari e la riduzione degli orari di lavoro, così che oggi le finestre temporali per le aperture al pubblico rasentano il ridicolo. Per la raccolta firme, ad esempio, era necessario recarsi individualmente presso ambasciate o consolati. Il che significa che molti erano costretti a percorrere centinaia di kilometri, sostenendo spese di centinaia di euro, per provare in una fascia oraria di un paio d’ore ad apporre semplicemente una firma. È quanto accaduto ad emigranti residenti a Newcastle, Sheffield o Liverpool in Gran Bretagna (per loro il viaggio sarebbe dovuto essere fino a Londra), o alle Canarie, a Valencia e in tante altre città europee. Per permettere il godimento dei diritti politici degli italiani residenti in città che non sono sedi consolari, ci sarebbe la possibilità – non l’obbligo – che il console invii un suo messo che possa fungere da autenticatore. È solo una possibilità e, infatti, ci è stata negata sempre, con le felici eccezioni di Zurigo e Grenoble (consolato di Lione). Da questo punto di vista abbiamo dovuto constatare la scarsa disponibilità alla collaborazione da parte di molti consolati. Per di più gli italiani all’estero sono vittime di una discriminazione assurda: mentre per i collegi in Italia la legge ha previsto un taglio del numero di firme necessario alla presentazione della lista, all’estero non se ne è avuta traccia. Anzi: il dispositivo di legge prevedeva esplicitamente che questo taglio non ci fosse, segnando quindi una linea piuttosto netta tra italiani di serie A e italiani di serie B. Onestamente intollerabile, tanto che stiamo studiando le possibilità di un ricorso legale che permetta di difendere i diritti politici dei milioni di italiani all’estero.”
Il limite piu’ difficile da valicare dunque, non sarebbe stato quello leggittimo, anche se discutibile, fissato dalla legge, ma quello legato all’operatività delle strutture consolari, come si evince dal racconto della Carofalo: “A valle di questi problemi strutturali abbiamo incontrato altri ostacoli. In diverse città abbiamo raccolto le testimonianze di decine di persone che si sono recati presso i consolati per depositare la loro firma e permettere a Potere al Popolo di essere presente anche nella circoscrizione Europa e che non hanno trovato personale. Il risultato è stato che alcuni hanno potuto mettere una semplice firma solo dopo ore di attesa; altri, i più, hanno invece dovuto rinunciare loro malgrado, perché non potevano permettersi di attendere ore nella speranza che un funzionario prima o poi si presentasse. In altri casi abbiamo dovuto constatare l’impreparazione del personale consolare che letteralmente non sapeva dove metter mano, non avendo istruzioni precise né sulla compilazione dei moduli né sulla raccolta delle firme. È così capitato che alcuni siano stati rimandati a casa. E c’è il caso di Barcellona in cui i funzionari presentavano esclusivamente la modulistica valida per la Camera dei Deputati e non, invece, anche quella per il Senato. Col risultato che lì abbiamo raccolto firme solo per una delle due camere di cui si compone il Parlamento. Non è questa una “diminuzione” dei nostri diritti politici? E non parliamo di complotti, di volontà di escludere la lista “Potere al Popolo” perché scomoda. Facciamo infatti salva la buona fede dei funzionari. Allora però il problema che si pone è quello di chi avrebbe dovuto dare istruzioni e non l’ha fatto. Guardiamo chi sta in alto in questa catena e non ha fatto bene il suo lavoro. L’esito è purtuttavia cristallino: negazione dei diritti politici dei tanti italiani e delle tante italiane che avrebbero voluto vedere il simbolo di Potere al Popolo anche nella circoscrizione Europa e che invece oggi vedono a rischio questo loro diritto.”
Questa esperienza però, anche se non completamente positiva, ha comunque una sua utilità, in quanto ha significato ai vertici di un nuovo partito nazionale, le difficoltà oggettive che ogni giorno gli italiani all’estero, sperimentano nel semplice esercizio attivo della loro cittadinanza, come ci conferma la stessa Carofalo: “L’esperienza di raccolta firme ha contribuito a farci conoscere meglio il mondo e i problemi dell’emigrazione italiana. Abbiamo parlato e ci siamo organizzati con centinaia di emigranti. Con chi se n’è andato perché nel nostro paese non è quasi più possibile fare ricerca, portare avanti progetti all’interno dell’università: i ‘cervelli in fuga’ che tanto piacciono ai media nostrani che dedicano articoli a questi concittadini che all’estero hanno trovato quello spazio che qui mancava. Ma anche e soprattutto con i cosiddetti ‘camerieri d’Europa’, le tante e i tanti che vanno via dall’Italia perché qui, malgrado la retorica governativa, non è per nulla facile trovare uno straccio di lavoro qualsiasi e allora si parte anche semplicemente per poter trovare un posto che ti consenta la sopravvivenza quotidiana. E ci si trova a vivere una condizione molto simile a quella che gli immigrati che arrivano in Italia subiscono quotidianamente. Perché si è spesso percepiti come una ‘minaccia’ agli standard di vita degli autoctoni, si è quelli disposti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro. Una condizione, dunque, che porta molti dei nostri emigranti a riflettere su cosa significhi vivere da immigrato e su cui sarebbe utile riflettessimo noi tutti per evitare quella deriva razzista che oggi accomuna i principali partiti dell’arco parlamentare italiano, dalla Lega al M5S, passando per Forza Italia e il PD di Minniti. Queste settimane di organizzazione di assemblee pubbliche e di raccolta firme, hanno reso ancor più viva la nostra esigenze di far irrompere in campagna elettorale il tema del dramma sociale che si vive nel nostro paese, soprattutto nel Mezzogiorno. In questi anni, infatti, sebbene i media si concentrassero sulla presunta ‘invasione’, di salviniana creazione, c’è stato un fenomeno opposto e quantitativamente più significativo: l’emigrazione di centinaia di migliaia di persone, soprattutto giovani e meridionali, dal nostro paese. Provate ad andare in alcuni centri del Sud Italia, e non solo nei più piccoli: c’è una fascia di popolazione che ormai ritrovi solo ad agosto o nelle feste di Natale, perché nel resto dell’anno vive ormai lontana dalle terre d’origine, in Europa o in altri continenti. Oggi non si parte con la valigia di cartone, non c’è ancora una costruzione simbolica della figura del nuovo emigrante. Si tratta di un altro ‘rimosso’ della politica italiana. Forse perché parla del fallimento di trent’anni di ‘modernizzazione’ che ci ha regalato, al contrario di quanto affermato dalla retorica imperante, povertà e assenza di prospettive di futuro. Come Potere al Popolo vogliamo che invece questo tema sia all’ordine del giorno. Vogliamo che siano gli emigranti stessi a parlare di cosa significhi esser costretti a partire. E di cosa si trova nei paesi d’arrivo, che è tutt’altro che l’Eden di cui ci parlano. Quando diciamo che vogliamo costruire una casa per tutti gli esclusi, gli ‘ultimi’, non pensiamo solo a quelli che in questo paese sono nati e rimasti. Pensiamo a chi in Italia ci è arrivato per scappare alla povertà, a chi è alla ricerca di un futuro migliore di quello che gli sarebbe stato riservato nei paesi di origine. E pensiamo anche a chi, con le stesse motivazioni, dall’Italia è andato via e ora si trova in giro per il mondo, cercando il proprio posto, una comunità di appartenenza, un futuro da conquistare con la fatica e il sudore della fronte.”
A quanto pare, l’idea della Carofalo è chiara: del popolo a cui vuol restituire il potere, dovranno far parte anche gli italiani all’estero.
Fabrizio Venturini