Capire la Catalogna

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Esiste un mito, continuamente celebrato e nel quale vive chiunque metta piede a Barcellona. Il mito dei giochi Olimpici del 1992. Da quel momento Barcellona smette di essere una delle tante città portuali del Mediterraneo, né brutta né però tanto bella, per proiettarsi nel futuro e diventare quella che è adesso. Una capitale internazionale. La città si rifà il look, il governo catalano investe tantissimo. Si costruiscono ex novo intere parti, il porto commerciale diventa un immenso hub, vengono inaugurati giganteschi nuovi quartieri, la città studiata in modo maniacale per essere funzionale al massimo, Barcellona diventa una delle prime 10 smart city del mondo. Servizi, tecnologia, moda, eventi internazionali, musica, tanta, tantissima musica. La città diventa la leader del Mediterraneo un esempio per tutti quelli che bistrattano le città del Sud. No, si può fare. Se si ha una grande idea, si può crescere e sfidare e vincere il futuro. 18 milioni sono i visitatori annui di Barcellona,  città non più spagnola ma internazionale dove vivono tantissimi stranieri a partire dagli inglesi expat (loro non sono mai emigranti, sono expat) statunitensi, brasiliani, e i famigerati 20mila italiani (di cui però moltissimi sono in realtà argentini con passaporto italiano). Chi gira per Barcellona sentirà parlare tantissimi idiomi. Dallo spagnolo nei suoi tanti accenti, all’andaluso, dall’uruguayano, fino all’incomprensibile cileno, l’italiano, il napoletano e il torinese, soprattutto, poi inglese, portoghese. Dj di fama mondiale, Primavera Sound, si fondono con le feste locali, come la bellissima festa della Mercè. E’ la Barcellona edonistica,con le spiagge vissute come Rio, dove gli impiegati vanno a lavoro in skate e poi si fanno i muscoli sulle “muscle beach” di Barceloneta e Bogatell.

Poi c’è il mito del 1714. Un mito personale, privato, che vive nelle menti dei Catalani, un mito geloso, di questo popolo mite e accogliente, sobrio, lavoratore, il più filoeuropeo dei popoli iberici. L’11 settembre del 1714 i catalani festeggiano una sconfitta. In questo, insieme ai serbi, sono l’unico popolo che celebra la propria sconfitta, o forse ci sono i Palestinesi con la Nakba.

In quel giorno dopo un anno di assedio, durante una lunga e strana guerra europea, le truppe franco spagnole del Re Borbone di Spagna entrano a Barcellona, dopo che i catalani sono stati abbandonati da tutto e da tutti. Soli a continuare una guerra, David contro Golia. Ma vincerà Golia. Comincian da quel giorno il dominio durissimo della Spagna borbonica sulla Catalogna, la soppressione delle leggi catalane, della lingua della cultura. La Catalogna sembra scomparire venire assorbita. Eppure no, allora riemerge, forte della sua cultura stranamente imprenditoriale, i catalani sono quelli che vanno in Olanda, in Scozia, vedono le industrie tessili e le impiantano uguali e identiche a Barcellona. E poi la storia va da se, con la rinascita Catalana del 1800 e del nazionalismo, con Gaudi e Guell, con Joan Maragall e Verdaguer fino alla ennesima Repubblica catalana proclamata da Macià e alla fucilazione del Presidente Companys da parte di Franco.

E ora siamo qui, non negli ultimi 10 giorni, in cui la storia si è accumulata ed è scoppiata, ma nei giorni in cui i due miti, quello del 1992 e quello interno, viscerale del 1714, si stanno affrontando. Ovviamente i miei amici italiani, pieni di razionalità e moderazione (siamo un popolo democristiano o no) sconsigliano ai catalani il mito del 1714. Non conviene la libertà, ne alle tasche né alla testa, Meglio tornarne all’edonismo, alla musica, al party perenne di Barcellona, alle belle ragazze, alla fiesta. Tutti sembrano avere consigli da dare ai Catalani, eppure nessuno è disposto veramente ad essere loro amico.

Alessandro Amendola

photo credits by Gianluca Zappalà (flickr.com)