Dallo scorso 3 gennaio, fino al 31 gennaio 2018, sara’ possibile per tutti gli elettori italiani che “per motivi di lavoro, studio o cure mediche si trovano temporaneamente all’estero[…], nonché i familiari con loro conviventi”, di comunicare al proprio comune di residenza in Italia, la loro volonta’ di partecipare al voto all’estero per corrispondenza. ( MODULO)
Non solo gli iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiana Residenti all’Estero) dunque potranno esercitare il proprio diritto al voto per le prossime politiche, ma anche tutti quei cittadini italiani sparsi per il mondo che il Sistema Paese non è mai riuscito ad intercettare con una definizione univoca; formazioni sociali composte principalmente da giovani, i cui numeri crescono giorno dopo giorno e che non essendo titolari di visti “permanenti” nei paesi ospitanti, sfuggono al concetto stesso di “migranti”.
L’onere di nomare questi fenomeni quindi, di dargli almeno un aggettivo in cui riconoscersi, passa ai paesi destinatari, i quali li inquadrano in fattispecie giuridiche semplicemente discendenti dal visto di cui ogni singolo è proprietario; ecco allora che nascono nuove classi sociali produttive come i “workingholidaymaker” e gli “student”, per citare il caso australiano, il quale è piuttosto indicativo per farsi un’idea di molte delle altre realtà appartenenti all’area Commonwealth.
A questo punto viene genuinamente da chiedersi cosa si potranno mai aspettare queste persone dalle prossime elezioni politiche italiane e soprattutto, cosa proporrà loro chi, una volta siglate le coalizioni e sistemate le beghe amministrative legate alla presentazione delle liste, finalmente si paleserà chiedendogli il voto.
Se degli italiani iscritti all’AIRE, ovvero cittadini “propriamente” all’estero, già si parla poco e male ( unica notizia in materia rimbalzata tra i media nazionali, riguarda la discussione sull’eventuale candidatura di Al Bano e Toto Cutugno, con la relativa profondità politico-sociologica che ne scaturisce), quali soluzioni avranno mai in serbo in candidati delle Circoscrizioni Estero, per una realtà sociale così critica, figlia legittima ma non riconosciuta dell’era della globalità, dove i beni hanno sempre la precedenza sulle persone quando si tratta di mobilità, anche di quelle che, venendo da destra, pensano di risolverla al grido di America, Australia o quello che è, First.
Ad oggi non se ne è sentita neanche una, mentre le fila di questi italiani, sospesi tra due sistemi contributivi ma rappresentati da nessuno, continuano a ingrossarsi. Difficile capire in questo frammento sociale, quale formazione potrà contrastare il vero catch-all-party, ovvero il partito dell’astensionismo. Se da una parte cresce la sfiducia nei confronti dei partiti tradizionali, dall’altra le realtà “autoctone” della Circoscrizione Estero fanno scena muta, portando i soliti argomenti a piacere ormai mandati a memoria, come il recupero della cittadinanza, che ingolosiscono le generazioni di migranti consolidati. Il rischio è che la sufficienza, quella figurata, sia garantita.
FABRIZIO VENTURINI