A teatro, un capitolo di storia oscuro che illumina la lettura del presente.
Da protagonisti, quali siamo, di un evento sociale unico, nonostante i suoi tratti caratterizzanti siano già rintracciabili nella spirale degli avvenimenti storici, non possiamo permetterci di ignorare quell’evento, altrettanto unico, che sul piano antropologico, si trova diametralmente opposto al nostro.
L’Australia non era Tearrae Nullius. Non lo era certo quando siamo arrivati noi, scriventi e lettori, mesi o anni fa, trovandoci alle prese con tutte le difficoltà e le sfide che l’immigrazione presenta, in quel paradossale viaggio che parte semanticamente da un luogo, alla disperata ricerca di quel luogo stesso: casa.
Ma l’Australia, era già la casa di qualcuno ben prima che arrivassimo noi; il Victoria, in particolare, era la casa dei Kulin, prima di diventare quella di John Batman ma, stando a quanto disse Sir Richard Bourke nel 1835, non lo avevano detto a nessuno, non stava scritto da nessuna parte.
Giordano Nanni scrittore, storico e Senior Research Fellow della School of Social & Political Sciences della University of Melbourne, ha deciso di rendere noto un capitolo sconosciuto della storia “non bianca” di questo paese. Non solo, quello scritto l’ha trasformato nella sceneggiatura di uno spettacolo teatrale dal titolo Coranderrk: We will show the country, di nuovo in scena al La Mama Theatre di Carlton il 21 febbraio.
Coranderrk, “una delle sei riserve aborigene create a metà dell’Ottocento in Victoria per i sopravvissuti di quello che si può considerare un genocidio” – spiega Giordano. – “era una realtà agricola prospera: i bambini sapevano leggere e scrivere, la popolazione si stava ‘europeizzando’ mantenendo però usanze e tradizioni”. Il successo di queste riserve fu tale che i coloni bianchi si sentirono minacciati e cominciarono a fare pressioni richiedendone la chiusura.
“A Coranderrk, gli aborigeni guidati da William Barak, protestarono, volevano rimanere nella loro terra e iniziarono una campagna politica che vide coinvolti alleati ‘bianchi’ influenti come giornalisti, filantropi. Manifestazioni, lettere e petizioni che portarono” all’apertura di un’inchiesta parlamentare nel 1881. “Un risultato atipico per l’epoca, si trattò della prima udienza ufficiale che si prefiggeva di rispondere alle agitazioni aborigene”.
Per la prima volta, gli aborigeni furono chiamati al banco dei testimoni e le loro parole sono passate alla storia: la discriminazione e le ingiustizie subite vennero messe nero su bianco in documenti ufficiali disponibili ancora oggi.
“Coranderrk-We will show the country è un’opera teatrale ‘letterale’, ogni battuta è stata pronunciata da persone in carne ed ossa e rimane fedele alle trascrizioni degli atti dell’inchiesta che doveva decidere il destino della comunità aborigena”.
Per lo storico, l’eccezionalità dell’opera sta nel fatto che “permette al pubblico di ascoltare le voci, le parole esatte che vennero utilizzate dai protagonisti aborigeni e non aborigeni”. Grazie ad uno strumento di grande impatto come il teatro, gli spettatori contemporanei possono confrontarsi con la verità di un capitolo di storia sconosciuto ai più mentre per i discendenti della comunità di Coranderrk si tratta di una sorta di rivendicazione, di veder onorate di fronte ad una più ampia fetta di popolazione le gesta dei loro avi che hanno combattuto per i loro diritti e contro l’oppressione.
Attraverso la rappresentazione teatrale i discendenti “possono tornare ad essere fieri della loro storia. Se uno dei miei antenati avesse preso parte ad un avvenimento così incredibile, avrei voluto che le persone lo sapessero. Credo che tutti coloro che hanno partecipato all’inchiesta siano stati degli eroi”.
La comunità aborigena ha preso parte attivamente a tutte le fasi del progetto, dall’estensiva ricerca alla parte artistica. A partire dalla co-autrice di Giordano Nanni, “Andrea James, una giovane donna Yorta Yorta e discendente di Coranderrk, al cast con Uncle Jack Charles, che interpreta William Barak, e il cui bisnonno era Johnny Charles”.
Un processo che, ammette Giordano, “è stato complicato ma il cui risultanto è immensamente più potente. Si crea un senso condiviso di responsabilità e appartenenza (ownership), talvolta ha portato a conversazioni difficili da affrontare ma è il modo in cui si dovrebbero sempre portare avanti certe tematiche, anche a livello nazionale”. Un modello di consultazione va bene, dice lo storico, ma non è sufficiente, specie se ci sono decisioni sul tappeto come la gestione delle comunità aborigene del Kimberley o Western Australia o interventi nel Northern Territory. “Tutte queste questioni sono state trattate in maniera anacronistica, come veniva fatto nell’Ottocento quando i bianchi avevano potere decisionale sulle vite degli aborigeni, senza una discussione aperta e bilaterale”.
E nel portare avanti il progetto su Coranderrk, “non si trattava solo di parlare del passato, ma cercare di capire come fare le cose ora, nel presente”. L’inchiesta di allora è un ottimo esempio di “determinazione e del duro lavoro degli aborigeni ma, anche della collaborazione tra indigeni ed europei – come Anne Bon e John Green- che si resero conto che veniva perpetrata un’ingiustizia. Questa vicenda mostra il potere che ha la collaborazione”.
Coranderrk, presentato a Melbourne nel 2010 per la prima volta e da allora ripetuto con successo in tutta l’Australia, ha commosso il pubblico, che a fine spettacolo si chiede come sia andata a finire la vicenda. L’inchiesta segnò la vittoria della comunità indigena. Un successo che però ebbe vita breve dal momento che che dopo quattro anni circa, nel 1886, il parlamento promulgò una legge (Half-caste Act) che cambiò le regole del gioco e fece chiudere le riserve. “Quella legge segnò l’inizio della politica di assimilazione del Victoria e portò ad alcune delle pagine più buie della storia della nostra nazione”.
A teatro, “quello a cui assistono gli spettatori è un momento storico che avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi in Australia, gettando le basi per un modo diverso di risolvere le questioni tra coloni e primi abitanti del paese”. Le geometrie della storia però, spesso sfuggono la teoria e si possono spiegare solo con una prorompente empiricità, quella prorompente empiricità che Giordano Nanni ha squisitamente trovato nella formula del teatro e, grazie alla quale, riesce a restituirci una più armonica linearità, facendoci individuare alcuni parallelismi tra ieri ed oggi, tra la vicenda di Coranderrk e quei fatti di cui siamo testimoni ogni giorno, ammantati spesso da “un’incredibile assenza di comprensione della storia” (non da ultimi le affermazione del primo ministro sulla “scelta di stili di vita alternativi” delle comunità remote o la discriminazione nei confronti del giocatore di AFL Adam Goodes).
Illuminando quindi, le pagine più adombrate del processo di Coranderrk, Giordano Nanni e Andrea James, gettano una luce diversa anche sul presente, mostrando al paese e a chiunque sia interessato, una nuova prospettiva.