Quest’anno la Monash University ha organizzato l’edizione inaugurale di un concorso di traduzione letteraria in collaborazione con la prestigiosa rivista online del settore Asymptote. Due ragazze italiane, Micol Licciardello e Beatrice Bandini, a Melbourne grazie a un programma di scambio con l’Università di Trieste, sono state le vincitrici del primo e del secondo posto con le loro traduzioni di un passaggio del romanzo “Th e Memory Artist” della scrittrice australiana Katherine Brabon. Micol ha raccontato la sua esperienza australiana a Eureka… tra pro e contro!
Ho deciso di iscrivermi al programma di mobilità internazionale dell’Università di Trieste per poter fi nalmente realizzare anch’io il sogno generazionale dell’‘esperienza all’estero’. Ho scelto l’Australia non tanto per poter migliorare il mio inglese, visto che il mio livello era già abbastanza alto, quanto per poter provare il piacere di vivere in un Paese come l’Australia, che nell’imaginario di molti giovani arriva ad assumere i tratti di una ‘terra promessa’, circondata dal suono di una lingua che tanto apprezzo. L’inizio di questo percorso di cinque mesi in Australia ha richiesto una lunga trafi la burocratica, fra borsa di studio, iscrizione alla Monash University, visto e assicurazione sanitaria. Per non parlare dell’IELTS, un test d’inglese della Cambridge obbligatorio per l’iscrizione alle università australiane (e non solo) che, a mio avviso, maschera, con la buona intenzione di stabilire un livello minimo d’inglese necessario per poter studiare senza difficoltà in lingua inglese, un business mangiasoldi a cui non possono purtroppo sottrarsi coloro che vogliono accedere a corsi di studi in molti Paesi anglofoni.
Alla Monash University ho seguito quattro corsi, tre di lingua e uno di traduzione, della Bachelor of Arts.
È facile notare una grande differenza fra l’università in Australia e in Italia, sia dal punto di vista della struttura che del tipo di studio. I campus, le biblioteche e le classi sono decisamente meglio attrezzate e funzionanti, facilitando la vita universitaria e lo studio, anche se dietro a così ampie risorse si nascondono tasse universitarie proibitive. Il metodo di studio in Australia è molto più basato sulla ricerca, l’elaborazione personale e la pratica rispetto all’approccio di apprendimento enciclopedico del sistema italiano. È stato abbastanza difficile da studentessa italiana abituarmi a scrivere gli ‘essay’, fatti di studio libero e di ricerca individuale di ‘research question’ e fonti, da cui dipendeva in gran parte la valutazione dei corsi. È vero che alla fine ci si ritrova con una conoscenza di un argomento abbastanza mirata e con meno basi teoriche rispetto all’Italia, ma l’istruzione in Australia prevede uno studio attivo e una rifl essione critica che manca, invece, nelle nostre università. Sono due tipi di apprendimento molto diversi, per questo non mi spingerei a dire che uno sia migliore dell’altro.
Ciò che ho apprezzato di più della vita universitaria australiana è l’ambiente multiculturale, la maggiore possibilità di discussione e di confronto in classe e il rapporto decisamente più amichevole e rilassato con i professori. Ho apprezzato di meno, invece, le lezioni a frequenza obbligatoria e le continue scadenze nella consegna dei ‘compiti’, che mi facevano sentire più a scuola che all’università.
Per quanto riguarda vivere in Australia, le distanze quasi ‘alienanti’, la diffi coltà di fare amicizia con giovani del posto, dovuta spesso al loro impegno sia universitario che lavorativo, e incompabilità socio-culturali (il razzismo di parte della popolazione, gli sprechi e il diverso valore dato al cibo, dal cenare guardando la tv sul divano alla quantità infi nita di fast food) hanno sicuramente ridimensionato l’aurea mitica che aveva l’Australia nella mia testa prima di partire, facendomi valutare un po’ più positivamente certi aspetti del mio Paese e dell’Europa in generale.
Micol Licciardello
(IL GLOBO – Eureka, 18 ottobre 2018)