I lavoratori migranti sono costretti a sacrificare i propri diritti a causa di governi poco lungimiranti

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L’uscita del rapporto Migrantes 2016 ha nuovamente evidenziato come i giovani italiani siano costretti a lasciare il loro paese in cerca di migliori condizioni lavorative. Alla luce di ciò abbiamo pensato di riproporvi, in traduzione italiana, un articolo molto interessante del nostro Giovanni Di Lieto, uscito su ‘The Conversation’ lo scorso 20 settembre. Giovanni ha vinto quest’anno il premio Holtz Price, un importante riconoscimento per il suo studio ‘Migrant Labour Law. Unfolding Justice at Work in Free Markets’. Buona lettura.

 

I governi vorrebbero avvantaggiarsi di tutti i benefici del libero movimento di merci, capitali, servizi, idee e competenze, ma allo stesso tempo tendono a trascurare i diritti dei lavoratori. Lo squilibrio che si viene a creare potrebbe però portare i Paesi a perdere tutti quei vantaggi che scaturiscono da un mercato del lavoro globalizzato.

 I lavoratori migranti sono generalmente considerati sui luoghi di lavoro come una sorta di piaga, che ha un impatto negativo sull’intero sistema. In termini di giustizia sociale quindi, i governi sono portati a preservare una decente condizione per i lavoratori locali a discapito della promozione di una libertà di movimento dei lavoratori a livello globale, percependo queste due istanze come inconciliabili.

 In un mondo colpito da profonde disuguaglianze sia tra nazioni sia tra individui, i lavoratori migranti sono dunque costretti, spinti dalla necessità di garantire migliori condizioni di vita a se stessi e alle loro famiglie, a sacrificare i propri diritti.

 Questo tipo di approccio poco lungimirante da parte dei governi potrebbe avere a lungo termine dei costi sociali insostenibili ed in più, portare all’ irrimediabile perdita di tutto il valore, in termini di capitale sociale, che i lavoratori migranti portano con sé.

 

Le politiche di immigrazione non obiettive

 Un significativo numero di paesi ha eliminato le possibilità di intraprendere una migrazione permanente per i lavoratori non qualificati, con cambiamenti che differiscono notevolmente tra nazione e nazione rispetto ai ricongiungimenti familiari e le condizioni dei visti.

 Allo stesso tempo molti paesi ammettono la condizione di residente e lavoratore temporaneo. Alcuni di questi sistemi (compreso quello Australiano) offrono anche un percorso verso visti a lungo termine e in alcuni casi persino la possibilità di ottenere la residenza permenente, permettendo ai lavoratori temporanei di portare con se i propri parenti. Altri governi hanno invece proibito espressamente i ricongiungimenti familiari e i cambiamenti nelle condizioni dei visti, o li hanno decisamente limitati.

 La violazione dei diritti umani, tra cui il mancato pagamento dei salari o la molestia sessuale nei confronti dei lavoratori che operano in ambiente domestico, sono molto frequenti e conosciuti soprattutto in soggetti deboli quali le lavoratrici migranti provenienti dal Sud dell’Asia e dall’America Latina.

 Nei paesi di destinazione, la precaria condizione dei lavoratori migranti li porta ad essere soggetti ad una dipendenza sempre più stretta nei confronti del datore di lavoro, aumentando il potere contrattuale di questi ultimi e limitando l’accesso dei lavoratori a tutta una serie di diritti sociali presenti nel paese ospitante.

 La difficoltà di movimento dei lavoratori ha anche una conseguenza nei paesi dai quali questa migrazione ha origine e dove, l’eccesso di manodopera incrementa lo sfruttamento locale da parte di aziende non solo interne, ma anche straniere.

 Quindi le politiche di migrazione non dovrebbero essere determinate solamente a livello nazionale, ma dovrebbero essere frutto di accordi regionali o bilaterali che, di conseguenza, avrebbero un impatto significativo sul flusso migratorio.

 Le teorie secondo cui una gestione condivisa e organizzata della mobilità nel mondo del lavoro sia indispensabile alla cerscita e allo sviluppo globale, sta avendo un credito crescente. Il mancato riconoscimento di questa realtà porterà all’aumento dello sfruttamento dei migranti, a maggiori violazioni dei diritti umani e a pratiche sempre più distorsive negli scambi commerciali.

 

La necessità di strumenti di tutela per i lavoratori migranti

 Nel 2015 il numero globale di migranti internazionali è stato il più alto mai registrato, raggiungendo la cifra record di 244 milioni di individui,circa il 3% della popolazione mondiale.

 In più, nei decenni a venire, il numero di migranti che si sposteranno in cerca di lavoro si accrescerà notevolmente spinto da un incremento della domanda di scambi commerciali e di competenze tecnologiche da un Paese all’altro.

 Alla luce quindi del continuo sforzo delle economie globalizzate (compresa l’Australia) di trovare soluzioni alle richieste di opportunità lavorative e di sicurezza sociale al proprio interno, la domanda non sarà più se accettare nel proprio territorio il flusso migratorio, ma come gestirlo efficacemente per cogliere il suo impatto positivo e ridurne le conseguenze negative.

 I lavoratori migranti contribuiscono infatti significativamente alla crescita economica e alla prosperità dei paesi ospitanti. Allo stesso modo una efficace gestione del fenomeno, può anche giocare un ruolo importante nel fornire ai migranti tutta una serie di conoscenze e competenze che possono promuovere lo sviluppo nei paesi di provenienza.

 

La direzione che stanno attualmente prendendo i governi

 Le misure indirizzate alla tutela dei diritti dei mondo del lavoro (applicabili sia ai lavoratori locali sia a quelli migranti) sono incluse sempre più frequentemente negli accordi di libero scambio e questa tendenza è soprattutto promossa dai Paesi avanzati, i quali riconoscono come un approccio bilanciato alla gestione della mobilità del lavoro sia un elemento essenziale per una corretta amministrazione.

 Questo dimostra agli investitori che un governo è impegnato costantemente a rendere il proprio Paese un posto attraente per lo sviluppo di business a lungo termine e previene anche i partner commerciali dall’ignorare le regole del mondo del lavoro spingendoli a cercare, invece che distorcere, un’equilibrio nel commercio internazionale.

 Tuttavia, molti paesi sviluppati e molti loro rappresentanti si oppongono a questo tipo di sviluppo, adducendo diverse motivazioni legate a questioni di interesse e stabilità interna. Ma, nel contempo, lamentano la poca correttezza delle politche “predatorie” sull’export dei Paesi in via di sviluppo che sfruttano i bassi standard dei diritti dei lavoratori presenti in questi stessi mercati.

 Il recente declino dello stato sociale e, di conseguenza la crescente insoddisfazione delle masse, dimostra che i paesi non sono poi così interessati ad avere, nei confronti della migrazione globale dei lavoratori, un approccio integrato e lungimirante.

 In sostanza, i governi stanno tentando di impossessarsi di tutta la torta e anche di mangiarla traendo il massimo vantaggio possibile dal capitale sociale dei migranti (composto dal valore delle ralezioni sociali e della cooperazione dei migranti) sfruttando generazioni di manodopera migrante e, allo stesso tempo evitando di affrontare i costi sociali che questa comporta.

 A lungo andare questa cattiva gestione dei lavoratori migranti potrebbe portare ad una diminuzione degli arrivi, causando una carenza di manodopera che avrebbe un impatto negativo sulla crescita economica. Sebbene insostenibile con le attuali politiche, la migrazione è ancora necessaria per mantenere l’attuale livello di sviluppo nei paesi di destinazione.

 Tutto ciò rende le politiche di protezione contro l’immigrazione inadeguate sia a livello economico, sia per quello dei diritti umani.

Giovanni Di Lieto

trad. a cura di Luca M. Esposito

(The Conversation, 20 settembre 2016)