Il mondo si allontana? Possiamo riavvicinarlo

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Presentazione del volume “Il mondo si allontana? Il Covid-19 e le nuove migrazioni italiane” a cura di Maddalena Tirabassi e Alvise Del Prà

Che il mondo si sia allontanato a causa di questa pandemia, come recita il titolo della interessantissima pubblicazione curata dal Centro Altreitalie, è probabilmente incontestabile. Che Maddalena Tirabassi e Alvise Del Prà, con il loro lavoro, abbiano già innescato un processo inverso di quello del quale prendevano atto nel loro volume, è un dato di fatto testimoniato dalla grande e accesa partecipazione alla presentazione del libro avvenuta venerdì in videoconferenza.  

L’allontanamento, questo processo causato dalla pandemia, non è infatti irreversibile, anzi. Il riavvicinamento è possibile fin da subito, ma per innescarlo occorre una presa di coscienza tanto del fatto che questo allontanamento era già in atto prima del virus, quanto che occorrono strumenti e discorsi nuovi nel leggere e nell’interpretare il fenomeno migratorio italiano dell’ultimo quindicennio.

Con grande piacere non si può non rilevare che questi discorsi nuovi già ci sono e sono emersi proprio dalle parole dei tanti che hanno partecipato alla presentazione venerdì. La pandemia, infatti, ha sottolineato bene Fabrizio nel suo intervento, per noi di Nomit “ha solo tirato un segno di evidenziatore” su un allontanamento che era già ben presente. Un allontanamento sempre più ampio dal rispetto dei diritti delle persone e dei lavoratori, da principi quali la solidarietà e l’aiuto reciproco, da valori determinanti per la vita di una società sana come quelli dell’accoglienza e della collaborazione tra gli esseri umani. A modo nostro, con l’impegno in una moltitudine di piccoli progetti, cerchiamo da molti anni di invertire quell’allontanamento in un riavvicinamento tra le persone, ma anche tra l’Italia, le sue istituzioni e i tanti giovani che in questi anni approdavano in Australia. Questo sarà stato anche “un pannicello caldo”, come qualcuno ha definito i nostri sforzi, ma ci ha permesso di vedere molto prima degli altri ciò che l’epidemia avrebbe scatenato. E non perché i nostri occhi siano migliori, ma semplicemente perché guardavano nella giusta direzione, dove gli altri non volevano guardare.

Ha ragione quindi Marco Fedi. Il termine che abbiamo usato nel nostro contributo al volume del Centro Altreitalie, quello di “invisibili”, riferendoci alla massa di giovani italiani di nuova immigrazione in Australia non è corretto. Quello corretto, come sottolineato dal direttore del Coasit di Melbourne nel suo intervento di venerdì, è quello di “ignorati”. I nuovi emigrati sono stati infatti ignorati per anni, un destino condiviso con gli ultimi, i più deboli, finiti sempre più allontanati. “Non sono invisibili, sono molto visibili – ha detto Fedi. – Si sceglie di non vederli”.

Venerdì, stimolati dal Centro Altreitalie, tutti i partecipanti alla conferenza hanno dimostrato che loro invece questi “ignorati” li vedono benissimo. E non da oggi. Ci sono però dei punti che vanno sottolineati con maggiore forza, che si devono tradurre in principi che a loro volta dovranno costituire, a nostro avviso, le fondamenta di proposte concrete per uscire da questa pandemia con strumenti migliori e una nuova narrazione. La nostra proposta a tutti coloro che hanno partecipato è dunque quella di costituire una rete di associazioni, media, centri di ricerca, organizzazioni, partiti, enti e sindacati, che sia punto di riferimento per le istituzioni e che offra questa nuova narrazione ai decisori politici.

C’è bisogno infatti di costruire una “cultura della mobilità”, come suggerito dal parlamentare Massimo Ungaro, tenendo presente che l’emigrazione, ora interrotta, riprenderà e stavolta occorrerà farsi trovare preparati. Sarà necessario dotarsi quindi di “strumenti concreti di solidarietà”, come suggerisce Maria Chiara Prodi, costruendo una “rete funzionale”, l’ha chiamata Toni Ricciardi, anche di sicurezza sociale per chi emigra. E questo non solo perché chi emigra non deve essere lasciato solo, ma anche perché occorre ricostruire un rapporto di fiducia tra le istituzioni e le nuove generazioni di emigrati italiani più giovani, essenziale perché l’Italia non perda questo capitale umano dall’enorme valore, ma anche per permettere all’esperienza della mobilità di articolarsi anche in modo circolare. Partendo da questo si potrà contribuire a creare così “una narrazione nuova riguardo ai rientri” che è cruciale per l’Italia e per i tanti suoi cittadini che sono all’estero. Una narrazione che tenga sempre ben presente, come sottolineato dal presidente Piero Bassetti, che “la cittadinanza deve basarsi su un sistema di valori condivisi”.

Il lavoro da fare è molto, ce ne rendiamo conto. Ma anche in vista degli importanti cambiamenti in discussione riguardo alla rappresentanza all’estero, crediamo sia importantissimo farlo. E crediamo sia importantissimo che si trovi il modo di rendere partecipi di tutto questo le nuove emigrazioni, prima di prendere decisioni che impatteranno soprattutto sulle loro di vite.

Noi di Nomit ci siamo.

 

Articolo scritto da

Luca M. Esposito

Luca M. Esposito

Che ci fa uno storico medievale, con un impiego nelle produzioni cinematografiche e appassionato di politica in Australia, è una domanda che continua a rimbombare nella testa di Luca fin dal suo approdo a Melbourne, nel 2012. La continua ricerca di una risposta porta Luca nei mercati, nelle università, nei giardini, nei consolati, nelle farm di galline sparsi per la città, fino ad approdare, come redattore, nella redazione del bisettimanale italiano d’Australia Il Globo, ad occuparsi principalmente di politica italiana. Nel frattempo dedica tutto il suo tempo libero a Nomit, che con molti altri ragazzi, ha contribuito a fondare e costruire sin dal maggio 2013. Un’esperienza che, è convinto, lo aiuterà a placare la sua sete di risposte.