Una delle storie più famose e controverse di quelle raccontate nelle fiabe dei fratelli Grim, tratta di un personaggio complesso che, per mezzo di una sua dote peculiarissima, libera un’intera città dalla piaga che l’affliggeva. La “dote”, è l’abilità di suonare un piffero incantatore, grazie al quale traduce un esercito di topi, “la piaga”, al di fuori della città. Città che par essere Hamelin, Bassa Sassonia, perché Il Pifferaio Magico, sembrerebbe ispirarsi ad un fatto più vero che verosimile, consumatosi durante quel periodo storico conosciuto come “Il Rinascimento del Weser”.
A Gallarate, di invasioni di topi antologiche non se ne ricordano, ed è forse per questo che il nostro di Pifferaio, Federico Piovaccari, sarà destinato a manifestarsi completamente, lontano dal suolo natio.
Leggendo la pagina di presentazione postata sul sito ufficiale della sua nuova squadra, il Western Sydney Wanderers, si evince che questo soprannome gli vien cucito addosso durante l’esperienza allo Steaua Bucarest sulla scorta del suo “stile di gioco”. Probabilmente più una dimostrazione della capacità di sintesi degli addetti alla comunicazione della squadra che un trivia fondato, in quanto le sue esultanze del piffero, così come l’uso del conseguente soprannome, sono rinvenibili già ai prolifici tempi del Cittadella.
Ma allora perché Pifferaio? Per la capacità di portar via l’uomo quando gioca da seconda punta, attirandolo lontano dal fulcro offensivo del gioco? Per l’allegoria della fiaba basata sugli scritti di Decan Lude, che spiega la vendetta del “Pifferaio” sulla città di Hamelin, ovvero il ratto dei bambini, come una sensibilizzazione all’emigrazione giovanile?
“Per SpongeBob”, mi dice per telefono mentre si reca all’allenamento pomeridiano “La sigla finale. Alla fine si suona il naso come fosse un piffero. A mio figlio piace molto”.
Si perché per capire esattamente Piovaccari, ci vuole un punto di vista mutevole, dinamico, bisogna intraprendere insomma, se non un viaggio, almeno uno scatto cognitivo, di 35-40 metri all’incirca, in quanto la sua storia si esplica sempre tra la poesia della tre quarti e la prosa dell’area piccola.
Lui, sicuramente, è sempre stato in movimento e si che a questo punto preparare la valigia non deve essere facile dal punto di vista logistico, considerate tutte le casacche che ha collezionato; già durante le giovanili ne cambia tre: Pro Patria, Castellettese, con la quale esordisce in serie D, per poi arrivare all’Inter, nella cui primavera segna per ben 15 volte, quattro nel Torneo di Viareggio.
Sembra arrivato il momento per l’esordio tra i professionisti ma è la stagione 2004-2005 e all’ombra del Biscione si sta stretti: là davanti ci sono già Vieri, Adriano, Recoba, Cruz e Martins, senza dimenticare Choutos e Meggiorini, che inizierà la stagione nelle giovanili ma con la promozione in prima squadra in pectore.
“In quel periodo ho girato tanto, non sono mai stato di una squadra in particolare”, mi dice sulla strada per il Paramatta Stadium, ma il segnale telefonico è disturbato, va e viene, proprio come il Pifferaio quando ancora pifferaio non era, andava e veniva dalla Pinetina. “Ho giocato a San Marino, con il Vittoria, con la Triestina ed il Treviso, fin quando la scoietà è fallita e io son rimasto senza squadra, quindi ho reiniziato dal Ravenna e poi sono andato al Cittadella […] tutte belle esperienze perché, prima dell’Europa, ho avuto modo di girare l’Italia.”.
Non dimentica nessuna delle sue stazioni ma quando arriva al Cittadella, mette sempre almeno un punto e virgola.
Con la squadra patavina segna 23 goal nel campionato cadetto aggiudicandosi così il titolo di capocannoniere. Qui si conclama il suo repertorio fatto di un destro sempre affidabile, sia d’esterno che d’interno, di un sinistro indecifrabile e di doti aeree che spaziano dal cinico fino all’immaginifico come quando alla settima giornata e al minuto 0.08, contro l’Empoli, si produce in una vincente “Rovesciata di Parola”.
Al Citta avrà anche una libertà di movimento che farà fatica a ritrovare in altre squadre. Libertà che sfrutterà nel migliore dei modi perché quando Piovaccari si allarga verso destra, e il collo del piede preferito gli si allinea con la porta, il Pifferaio assume una sicurezza che gli permette anche la burla e il pallonetto sembra diventar d’obbligo. Si veda il minuto 0.15 del video di cui sopra.
Dopo la vincente stagione padovana la Sampdoria, appena retrocessa, lo vuole tra le sue fila ma l’ambiente è teso e lui fa fatica ad integrarsi. Anche a Genova la concorrenza è spietata è dal folto mazzo di attaccanti composto da Pozzi, Foti, Fornaroli, Eder, Maccarone, Pellé, Icardi, Bertani e Piovaccari deve uscire un asso, e deve uscire subito.
La fortuna, non sembra essere dalla sua è questo per Piovaccari è un bel problema, soprattutto dal dischetto, dove è un buon realizzatore ma comunque dipendente da una certa aleatorietà.
Li calcia fortissimo, d’esterno, i rigori e quando le cose si mettono per il verso giusto, il pallone diventa un missile terra-aria. Alcune volte si allarga verso destra trovando l’angolino in una frazione di secondo e diventando semplicemente imparabile ma, altre volte, la traiettoria rimane centrale, magari si alza un po’ troppo e, nel peggiore dei casi, non coglie lo specchio andandosi a stampare in curva. Nelle prime sei giornate, quell’anno con la Samp, successe ben due volte ed il Pifferaio trovò la via della porta solo due volte. Venne di nuovo il tempo di fare le valigie.
Brescia, Novara, Grosseto e poi Bucarest, dove si consuma uno dei più grandi paradossi della sua carriera: con lo Steaua, Piovaccari esordisce in Champions League senza esser passato dalla serie A. E segna pure.
Dopo di che il passaggio all’Eibar, nientemeno che in Liga BBVA dove, tra gli altri, realizza il goal da portfolio, quello ai mostri sacri dell’Atletico Madrid.
È l’88’, l’Atletico vince tre a zero fuori casa e Gimenez, sembra voler seguire l’ultima debole fiammata dell’Eibar, sulla sua fascia, senza intervenire direttamente, osservandola da presso fino al suo naturale estinguersi. L’Uruguaiano però, sottovaluta la volontà della squadra basca di siglare il goal della bandiera e quando si accorge che il cross è stato scoccato, ha già fatto un passo di troppo.
In area, Piovaccari taglia centralmente approfittando della rilassatezza con la quale il suo marcatore gli da le spalle. Prende il tempo, salta e devia di testa in rete.
Viene naturale chiedersi i motivi del trasferimento in A-League proprio quando, dopo tanti anni, si incominciavano a raccogliere soddisfazioni nelle massime serie, “Volevo fare una nuova esperienza”, mi risponde “Mi ha contattato il mister(Tony Popovic, n.d.r.) dicendomi che voleva conoscermi. Dopodiche ci siamo incontrati e da lì, lui, mi ha fortemente voluto. Al che io ho fatto del tutto per venire qua.”
Quindi seguivi già l’A-league?
“Non seguivo molto il calcio d’oltre oceano ma dell’A-league ne avevo sentito parlare. Dopo il trasferimento di Del Piero, mi capitava di vedere i suoi goal in televisione. Non ne conoscevo tanto ma io, nel 2006, ho giocato con Iacopo La Rocca al Treviso, quindi l’ho contattato e mi son fatto un po’ spiegare com’è. Lui mi ha detto che si vive bene, mi ha parlato del fatto che il campionato è molto fisico, che si corre tanto ma che comunque anche il livello tecnico sta aumentando, anche grazie all’innesto di giocatori stranieri.
Iacopo La Rocca è un calciatore dell’Adelaide United e vanta un record sportivo che condivide solo con Alessandro Nesta e Pippo Inzaghi, tra i calciatori italiani.
Ha segnato un goal nella Coppa del Mondo per Club.
Dunque è La Rocca che ti ha consigliato questo campionato?
Si bhe, io speravo di incontrarlo qui(al Sydney Wanderers n.d.r.) ma quando sono arrivato io, lui è andato via, all’Adelaide, però ci sentiamo ancora spesso, ci siamo visti sabato scorso e anche lui è contentissimo delle esperienze che ha fatto qui, di aver vinto la Champions asiatica, di aver giocato la grande finale dei club, per lui sono grandi esperienze.
E io le vorrei ripetere, mi piacerebbe.
Tu hai citato anche Del Piero tra gli innesti italiani all’A-League. A luglio, durante il mercato, si parlava anche di un possibile ingaggio di Pirlo da parte della stessa squadra che fu di pinturicchio, il Sydney F.C..
Graham Arnold, allenatore della squadra, però affermò che se lui dovesse scegliere un Top-Player straniero, sceglierebbe sempre un attacante e mai un giocatore di un altro ruolo, anche se di indubbie qualità. Tu credi che le altre fasi di gioco, al di fuori di quella offensiva, siano ancora trascurate qui in Australia?
No, trascurate no. Qui è uno stile più anglosassone. Il riferimento è il calcio inglese e il calcio inglese è molto più fisico, veloce, non si fa grande distizione tra le fasi di gioco. Vige la regola dello spettacolo in Australia. Da questo punto di vista è diverso da forme di calcio che ho conosciuto. L’anno scorso in Spagna mi è capitato di giocare un calcio molto più tattico offensivamente, in Italia il calcio invece era molto più tattico sul piano difensivo.
Qui quello che ho notato è che si gioca sempre veloci, si punta ad avere il meno possibile la palla tra i piedi e non esiste il concetto di “perdere tempo”.
Per questo si cercano sempre attaccanti si bravi tecnicamente, ma soprattuto con una buona qualità fisica. Il fattore fisico qui è determinante.
E tu della fisicità ne hai sempre fatto un punto di forza. Hai avuto difficoltà ad inserirti in questo sistema tattico o, grazie a questa tua caratteristica, ti sei trovato bene da subito?
Bhe, all’inizio non dico che sia stato semplice. Ho dovuto cambiare totalmente le abitudini, anche nell’allenamento e questo mi è costato un po’. Anche nella comunicazione in campo ho avuto qualche problema.
Adesso le cose vanno meglio, anche fisicamente, non ho grossi problemi ma penso che sia normale, quando si arriva in un nuovo campionato, un periodo di ambientamento.
Effettivamente vorrei fare più goal, a questo punto mi sarei aspettato di aver segnato di più ma le prestazioni, nelle ultime 2-3 partite sono migliorate. È mancata forse un po’ di fortuna.
Invece dei nuovi compagni di squadra che impressione hai avuto? Ti sembra che, specialmente gli australiani, ambiscano particolarmente a trasferirsi in Europa oppure guardano con serenità all’eventuale futuro in competizione oceaniche o asiatiche?
Loro giustamente pensano all’Europa; tanto a me quanto agli spagnoli – Alberto e Dimas – chiedono com’è la Liga o come sono i campionati in Europa, loro lo vedono un po’ come obiettivo. Qui è molto seguita la Premier, quindi è normale che tutti ambiscano all’Europa. Però per loro è molto difficile uscire da un sistema di gioco principalmente fisico.
Qualcuno però ci sta riuscendo. James Troisi ora è sotto contratto con la Juventus per esempio.
Si. si. Io ho giocato nelle giovanili anche con Carl Valeri, però anche lui, nella sua esperienza, mi diceva che è difficile adattarsi al sistema europeo per chi è cresciuto[calcisticamente] qui.
Sicuramente però mi farebbe piacere se qualche nuovo compagno avesse l’opportunità di andare in Europa.
Tu invece hai qualche ambizione particolare qui? Dopo aver partecipato alla Champions per antonomasia, ti piacerebbe competere anche nell’Asian Champions League?
Prima cosa mi piacerebbe vincere un trofeo in Australia. Ora siamo primi in classifica ma siamo ancora a metà campionato. Mi piacerebbe vincere qualche cosa qui dopo i primi ed ultimi trofei che ho vinto con lo Steaua.
Vincendo il campionato, poi, ci qualificheremmo alla Champions[asiatica].
Oltre a Iacopo La Rocca e Carl Valeri che hai citato prima,conoscevi personalmente qualche altro giocatore nella lega? Per esempio penso a Bruno Fornaroli, ora al City, con il quale sei stato compago di squadra alla Sampdoria.
Si ci siamo incontrati quando abbiamo giocato contro. Lui sta facendo benissimo, è felicissimo della situazione e della sua nuova squadra; sabato ci rivedremo e speriamo che finisca com’è finita all’andata.
Son contento anche per lui perché anche lui non ha avuto tantissima fortuna alla Sampdoria mentre invece è un bravissimo giocatore oltre che un bravissimo ragazzo.
E invece giocatori che non conoscevi ma che hai imparato a conosere ed apprezzare qui? Penso per esempio a Berisha e Mooy che, tecnicamente, sono di ottima caratura anche se la maggior parte della loro carriera si è svolta in Australia.
Bhe sicuramente loro due. Mooy in particolare, lo vedi subito che ha un’intelligenza tattica diversa dagli altri. Berisha è un attaccante d’area di rigore, lo vedi subito dai movimeti e da come usa il fisico, si vede che è un giocatore di razza.
La differenza sostanziale l’ho vista con Castro, si vede che tecnicamente è diverso dagli altri.
Poi c’è anche tra i miei compagni Mitch Nicholson che sta facendo benissimo e anche lui si vede che ha qualcosa in più.
E la squadra che ti è sembrata più completa? Quella con la maggior vocazione europea?
Noi. Anche perché il nostro allenatore ha giocato tanti anni in Inghilterra e anche lo stile d’allenamento che ci dà è votato alla compattezza. Pressiamo tanto e subiamo poco; come stile di gioco penso che siamo quelli più europei.
Tante squadre qui, dopo mezz’ora incominciano a cedere, ad allungarsi, con attaccanti che restano troppo alti e difensori troppo bassi. Nell’organizzazione del gioco questa è la prima cosa che si nota.
Del futuro del calcio australiano cosa ne pensi? Qui vengono implementate politiche molto restrittive volte a promuoverlo; dal sistema dei così detti visa players, ovvero del limite massimo di cinque giocatori stranieri per squadra, all’obbligo di avere almeno tre giocatori in prima squadra che abbiamo meno di vent’anni. Credi che queste politiche siano efficaci?
Sicuramente, però per alzare il tasso tecnico bisogna innestare anche giocatori più esperti, che abbiano avuto modo di giocatore in diversi campionati
Per quanto riguarda il suo i futuro, Piovaccari è possibilistà sul restare in Australia ma ci tiene a specificare che “I matrimoni si fanno in due”; Cina, America e Giappone sono tutti paesi dal calcio nuovo e lusinghiero per il Pifferaio che poi, si sa, la favola di Hamelin, al di là delle diverse interpretazioni, finisce sempre come è iniziata:con una migrazione.