In Australia, anche se ci sentiamo soli

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Negli ultimi anni l’aumento dei numeri di emigrati italiani verso l’Australia ha suscitato un forte interesse anche in ambito accademico e diverse ricerche (tra cui “Giovani italiani in Australia. Un ‘viaggio’ da temporaneo a permanente” di Michele Grigoletti e Silvia Pianelli e “Australia’s New Wave of Italian Migration: Paradise or Illusion?” di Bruno Mascitelli e Riccardo Armillei) hanno cercato di inquadrare e spiegare il fenomeno.

Quasi del tutto assenti in queste ricerche, però, sono i risvolti sociologici e psicologici di questa nuova emigrazione. Ora, a porre l’accento su questi aspetti è un nuovo studio portato avanti da Mauro Giardiello e Rosa Capobianco, rispettivamente professori di sociologia e di statistica dell’Università degli Studi Roma Tre, in collaborazione con Hernan Cuervo e Babak Dadvand della University of Melbourne. La ricerca, intitolata “Nuove mobilità giovanili dall’Italia all’Australia: senso d’appartenenza e coesione sociale”, cerca di capire le motivazioni che spingono i giovani italiani a spostarsi in Australia, ma soprattutto se e come riescono a costruire un senso di appartenenza nel luogo in cui intendono vivere.

“L’appartenenza è un concetto importante perché ci permette di capire la loro qualità di vita. L’appartenenza è associata allo stare bene in un posto; è un indicatore importante per capire il grado di investimento sociale e relazionale in un luogo”, spiega il professor Giardiello in un’intervista per Eureka.

L’indagine viene portata avanti attraverso interviste faccia a faccia e questionari sia online che cartacei, con una prima sezione dedicata a domande anagrafiche e sulle condizioni di studio e lavoro e una seconda – il cuore della ricerca – sul senso d’appartenenza nelle sue varie sfaccettature. Si chiede ad esempio come vengono strette le amicizie in Australia; da dove proviene la maggior parte dei propri amici in Australia; quali sono le attività, le persone, i luoghi e le cose che ti fanno sentire di appartenere all’Australia e quali invece no. Domande che sono senza dubbio spunti di importante riflessione per gli stessi partecipanti. Una parte di loro si identifica con l’eredità culturale italiana; c’è poi un profilo, soprattutto legato ai più giovani, che si proietta nel mondo globale. Sono i cosiddetti “globalisti”: condividono gli stessi stili di vita e gusti con giovani di altri continenti e non è escluso che tra qualche anno si spostino in altri Paesi, per continuare a fare esperienze diverse. Rifiutano una definizione precisa e si identificano piuttosto come cittadini del mondo. C’è chi poi oscilla, che si sente di appartenere un po’ all’Italia e un po’ all’Australia, un profilo tipico di chi è Down Under da più tempo e ormai si sente a casa in tutti e due i Paesi, ma anche straniero in entrambi.

Nel questionario ci sono anche domande che riguardano il confronto tra Italia e Australia in cui si chiede all’intervistato di fare una graduatoria tra dieci aspetti dell’uno e dell’altro Paese per mettere in evidenza quelli che sono i pregi e i difetti di entrambi. In genere, al primo posto per l’Australia ci sono i servizi e la possibilità di trovare lavoro, mentre per l’Italia questi aspetti sono all’ultimo posto e in cima alla classifi ca compaiono le relazioni umane. “Abbiamo trovato risposte abbastanza stereotipate perché se un giovane va via dall’Italia è perché non è realizzato dal punto di vista lavorativo – dice la prof. Capobianco -. Quello che non ci aspettavamo è la solitudine qui in Australia”.

La difficoltà di costruire un senso di appartenenza Down Under è uno degli aspetti su cui il gruppo di studiosi di Roma e Melbourne si sta interrogando maggiormente. La solitudine potrebbe essere un fattore generazionale, alla tendenza dei giovani di oggi a non costruire più identificazioni collettive. Tranne alcune esperienze interessanti come quelle di Nomit, non ci sono associazioni di mutuo aiuto, i legami si creano soprattutto tramite i social network, dove ci si scambiano domande di tutti tipi, dal funzionamento di Medicare al parrucchiere migliore della città. Quasi del tutto assente il rapporto con gli immigrati italiani del dopoguerra, anche se i principali gruppi per scambiarsi informazioni restano gruppi tra italiani.

Ma non è solo un fatto di generazione. A contribuire al senso di solitudine è la consapevolezza della difficoltà di rimanere in Australia. “Questi ragazzi (ma non solo, dato che, come hanno riscontrato i ricercatori, ad essere partiti dall’Italia negli ultimi anni sono persone di quasi tutte le età, anche con famiglia a carico) sono immigrati a tutti gli eff etti perché sono spinti a lasciare l’Italia ma poi si trovano in una situazione paradossale perché qui non sono percepiti come possibili futuri cittadini australiani. Sono in uno stato di continua transizione, che quando non porta alla stabilità non porta neanche a investire in termini relazionali, il che si ripercuote in termini di solitudine. Abbiamo notato una grossa differenza tra chi ha la residenza e chi non la ha”, spiega Giardiello. “C’è anche un fattore economico – aggiunge Capobianco -. Se ci si deve pagare un corso di studi e si può lavorare solo 20 ore a settimana, il budget per socializzare è ridotto”.

Quella che si nota è una divisione di classe, tra quelli che provengono da famiglie di condizione economica più elevata che magari vengono in Australia a proseguire gli studi da spendere poi in un mercato del lavoro globale e coloro che invece vengono a cercare migliori opportunità lavorative e alla fi ne si ritrovano a fare qualsiasi tipo di impiego, con il rischio di una dequalificazione professionale rispetto all’investimento formativo fatto in Italia che, a lungo andare, rischia di tagliare fuori dal mercato del lavoro delle persone anche molto qualifi cate. A questo punto sorge il dubbio, spesso non palesato, che se si fosse rimasti in Italia forse qualcosa si sarebbe potuto ottenere. I ricercatori si sono sentiti chiedere, quasi per essere rassicurati della scelta fatta: “Ma com’è veramente la situazione in Italia? Si vive così male?”.

In generale, con il tempo la visione idilliaca dell’Australia si attutisce, subentra un senso critico. “I ragazzi sono più disincantati e oggettivi nei confronti dell’Australia – dice Giardiello -. Alcuni sottolineano come ci siano stratifi cazione sociale, diff erenze di classe, mancanza di meritocrazia, come anche la società australiana sia a volte discriminante e non sempre così multiculturale. Sottolineano le due facce della stessa medaglia: da una parte, le opportunità lavorative che l’Australia off re, dall’altra le diffi coltà”. “C’è una valutazione oggettiva della situazione ma anche una continua valutazione negativa della situazione italiana. Questo è il leit motiv di tutte le interviste”, concludono i ricercatori. In fondo, da quello che emerge dalle prime interviste, se l’Italia off risse vere opportunità, i giovani non se ne andrebbero. Il problema non è l’Italia come Paese, ma il ‘sistema Italia’, dove troppo spesso ai giovani vengono lasciate solo le briciole.

Per compilare il questionario, cliccate sul link: www.surveymonkey.com/r/2M77J8Q

Margherita Angelicci

(IL GLOBO, Eureka, giovedì, 16 agosto 2018)

Photo credits: Marko Mikkonen on Flikr