Cari tutti. Non mi dilungherò nei ringraziamenti, già espressi in precedenza e ai quali comunque mi unisco senza riserva. Questo perché voglio essere il più breve e conciso possibile, anche in virtù del fatto che il mio intervento, ha l’infame compito di essere il cuscinetto che divide voi dal buffet del rinfresco e dal resto del vostro sabato sera.
E’ semplicemente per mero buon senso quindi che passerei direttamente a raccontarvi che cosa sono andato a fare a Palermo.
A Palermo, non abbiamo risolto niente.
Ve lo premetto per chiarezza.
E premetto questo sperando che nessuno si stupisca, perché se qualcuno ha mai pensato che 115 persone, giunte dai diversi angoli del mondo, possano incontrarsi per la prima volta e risolvere, in quattro giorni, i problemi di oltre 5 milioni di italiani dispersi in giro per il mondo, beh, se veramente avete pensato questo, anche solo per un minuto, la prossima volta prendetevi un minuto in più.
Detto questo, passerei a quello su cui si è riflettuto a Palermo, e su cosa si è iniziato a lavorare.
A Palermo, appena arrivati, siamo stati accolti dal Sindaco Leoluca Orlando, il quale, innescando quella che è una vitale riflessioni per i tempi che stiamo vivendo, riflessione che dovrebbe portare a ridefinire il fenomeno della mobilità globale, ci ha fatto un esempio pratico.
Ci ha detto il Sindaco che lui, per esempio, osservando la mobilità da un punto di vista statico, vedendo ovvero migliaia di persone che in questi anni, per le ragione più varie, da diversi paesi si sono trasferite nella sua città, e considerando che in ossequio al suo ruolo istituzionale, su questa situazione è spesso costretto a riferire, ha trovato una sua chiave di lettura che usa spesso.
Ebbene, quando da Roma gli si chiedono delucidazioni su quanti stranieri vivano di fatto a Palermo, Leoluca Orlando risponde sempre la stessa cifra: zero. Perché, dice lui, a Palermo chiunque ci vive è un palermitano.
Questa è una sintesi retorica ed estrema, ma paradossalmente, è più lucida e funzionale di chi si perde nei calcoli dei gradi delle generazioni che vivono nelle diverse comunità di italiani in giro per il mondo, e di chi sminuisce l’impatto globale che la nuova mobilità ha su tutte le società dove si innesta, trascinandosi vincolata da inadeguatezze amministrative, che starebbe proprio ai leader di queste comunità, individuare e cercare di risolvere.
Individuare e cercare di risolvere.
Perché all’idea deve sempre seguire l’azione, altrimenti rimane lettera morta, stampata su libri che servono solo a prendere polvere negli scaffali dei vostri uffici.
E dico vostri non perché voglio sottrarmi alla massa critica di coloro che non hanno veramente letto tutti i capitoli dei rapporti “italiani del mondo” dagli anni ‘80 ad oggi, ma lo dico perché noi di Nomit, di scaffali ne abbiam ben pochi, facendo ancora parte di quella formazione sociale dei “meno stabili”, i nuovi meteci per dirla con Peter Mares, quelli ancora con lo zaino in spalla, per capirci. E lo zaino in spalla ce lo abbiamo ancora non perché siamo giovani – abbiamo la stessa età dei vostri figli con il doppio passaporto, in virtù del quale possono comprare case, avere credito ed essere più appetibili sul mercato del lavoro – non siamo giovani, siamo semplicemente più vulnerabili a livello sociale! e lo sottolineo, perché recentemente c’è chi sta tentando di raccontare cose diverse, senza rendersi conto che negando questo elemento, sta alterando la realtà!
Una realtà che qui in Australia è stata in anni recenti sottolineata più volte in numerosi rapporti e relazioni accademiche e governative, le quali hanno puntato il dito sulla vulnerabilità dei lavoratori migranti temporanei e lo sfruttamento sul posto di lavoro al quale sono sottoposti. Una disgrazia nazionale, è stata definita nel rapporto del Senato Federale e un ripudio dei principi di equità e giustizia che dovrebbero guidare una società democratica secondo l’ultimo documento redatto dalla Migrant Workers Taskforce del governo federale.
La nuova mobilità italiana è tra quelle più colpite da questa degradante situazione e proprio quest’ultimo rapporto ha sottolineato nelle sue raccomandazioni quanto sia fondamentale, anche all’interno delle stesse comunità etniche un lavoro di informazione e supporto per i nuovi arrivati, così da non farli cadere preda dello sfruttamento sul lavoro. Un’operazione che Nomit sta portando avanti da anni, non solo tramite lo sportello di assistenza in collaborazione con il Consolato Generale d’Italia a Melbourne, ma anche con campagne informative sul giornale della nostra comunità, IL GLOBO e attraverso un Forum che annualmente organizza sui diritti dei lavoratori migranti in Australia, quest’ultimo in collaborazione con importanti realtà della nostra città come l’associazione Job Watch, il sindacato Hospo Voice e il Migrant Worker Centre. Tutte queste iniziative dovrebbero essere vieppiù supportate e coaudiuvate dagli organismi e dalle istituzioni della nostra comunità, soprattutto da quelle che sono nate con il preciso compito di contribuire ad individuare le esigenze di sviluppo sociale, culturale e civile della nuova migrazione italiana, di favorire l’integrazione dei nuovi cittadini italiani nella società locale, di tutelare i diritti e gli interessi dei cittadini residenti nella circoscrizione consolare con particolare riguardo alla difesa dei diritti civili garantiti ai lavoratori italiani.
Ebbene, è per la contiguità sociale con chi sperimenta queste difficoltà che sono andato a Palermo, ed insieme ai delegati dei Comites svizzeri – da riflettere su quanto Australia e Svizzera, sebbene così lontane, siano paradossalmente amministrativamente vicine, in quanto al di fuori dello spazio schengen – abbiamo deciso di elaborare un progetto denominato “Nuova Cittadinanza Globale”, che ha come primo obiettivo pratico la stesura di una carta di principi in cui, al di là di quella dimensione meramente biblica del grado di generazione di appartenenza, del visto che si possiede e delle limitazioni lavorative o sociale a cui si è sottoposti, tutti possano riconoscersi, in quanto italiani nel mondo.
Poi?
Poi cercheremo di trasmettere questi principi alle associazioni di italiani nel mondo, per far sì che i progetti da loro messi in opera, siano orientati da detti principi, siano volti dunque, a migliorare la condizioni di ogni italiano che sperimenta una difficoltà legata al suo stato di immigrato, o di cittadino mobile, con il conseguente depauperamento dei suoi diritti sociali, civili e politici. Come già da tempo Nomit fa qui a Melbourne, nonostante tutte le difficoltà e gli impedimenti che una parte poco lungimirante della nostra comunità sta continuando a porre sul nostro cammino.
Ed è un peccato, un peccato davvero.
Sì perché al centro di questo sistema valoriale, così come Nomit ha cercato di sottolineare più volte in questi anni, si ritrovano i principi stessi che sono a fondamento anche della nostra Costituzione, che come cittadini italiani, anche se dispersi nel mondo, costituisce un faro da tener sempre presente.
Principio cardine che muove tutto e ha sempre guidato anche le iniziative dell’associazione che rappresento è quello solidarietà, che ovviamente non c’entra soltanto con i giovani, ma costituisce il tratto caratterizzante di una comunità davvero sana, permettendo alle nuove come alle tradizionali energie, una collaborazione veramente profonda per la crescita civile e sociale di tutti i suoi membri.
La solidarietà infatti è come un seme, che cresce e si sviluppa all’interno di un contesto e con il tempo porta linfa vitale a tutti i rami e le foglie che di quella comunità fanno parte. Se manca quella, e tutti sappiamo bene quanto in questo momento sia carente, allora il tronco che sorregge una comunità presto si troverà privo di quella linfa vitale che può alimentare il suo futuro e si inaridirà fino a spezzarsi. Chi non vuole o fa finta di non vederlo si sta rendendo responsabile di mettere a repentaglio il futuro stesso della nostra comunità. E senza una comunità, diceva Aristotele, l’uomo non può vivere.
Nomit