Seduta ad un tavolino di un bar del centro, Gabrielle Marchetti mi accoglie con quel suo sorriso luminoso e con quei suoi modi tranquillizzanti, propri di chi, per lavoro, deve trasmettere serenità e sicurezza alle persone che si rivolgono a lei.
Gabrielle infatti è un avvocato del lavoro, ma non un avvocato qualsiasi, bensì un professionista che presta la propria opera e il proprio impegno in difesa dei diritti dei lavoratori più deboli, coloro che non si possono permettere una costosa assistenza legale. L’organizzazione per cui Gabrielle lavora è una di quelle perle che si trovano nel vasto panorama delle iniziative no profit di Melbourne. “Job Watch è un community legal centre che si occupa di diritti del lavoro, un’organizzazione indipendente, finanziata tramite il Fair Work Ombudsman e il Victoria Legal Aid grazie ai fondi messi a disposizione sia dal governo federale e sia da quello statale”. Parlandomi del lavoro portato avanti da Job Watch Gabrielle sottolinea spesso proprio il punto importante dell’indipendenza, perché consente, tramite azione di lobbying, di premere sui governi per adottare politiche mirate che guardino alla tutela e alla protezione del mondo del lavoro.
Job Watch offre diversi tipi di servizi, disponibili per tutti i lavoratori del Victoria: da un centralino telefonico gratuito e riservato, recentemente ampliato anche ai lavoratori di Queensland e Tasmania; all’assistenza legale gratuita per chi ha visto violati i propri diritti sul posto di lavoro; all’informazione, tramite corsi mirati e seminari che cercano di portare a conoscenza dei lavoratori, ma spesso anche dei datori di lavoro, quelle che sono le regole da seguire per un corretto rapporto professionale.
Importante strumento poi a disposizione di Job Watch è un database creato dall’organizzazione sui casi e le denunce ricevute, un meccanismo essenziale soprattutto per avere uno sguardo complessivo su quelle che sono le problematiche più attuali che stanno investendo il mondo del lavoro. “Ad esempio, in questo momento – racconta Gabrielle – uno dei settori più attenzionati è proprio quello degli studenti internazionali, una fascia di lavoratori che si sta dimostrando particolarmente vulnerabile negli ultimi tempi”. Una visione ad ampio raggio dunque, che dà la possibilità a Job Watch di indirizzare le scelte dei governi e fornire suggerimenti ad hoc nelle politiche da adottare per il futuro. Quello dello sfruttamento, in particolare dei lavoratori temporanei, è un problema sentito e, in seguito a diverse inchieste e rapporti, sia federali, sia nazionali, sono stati recentemente sbloccati una serie di fondi da parte dei governi volti appositamente ad implementare la lotta a quella che il Senato di Canberra ha definito una vera e propria “disgrazia nazionale”. “Il settore è infatti in subbuglio – confessa Gabrielle –, sta crescendo la preoccupazione e l’attenzione per diverse categorie di lavoratori temporanei che si stanno dimostrando negli ultimi tempi particolarmente vulnerabili allo sfruttamento, che siano essi studenti internazionali, o working holiday makers o detentori del visto 457”. “Il nostro Paese ha delle regole molto buone, molto avanzate, per tutelare i diritti dei lavoratori, ma sfortunatamente stanno aumentando casi di infrazione, proprio all’indirizzo di queste particolari categorie – continua Gabrielle -. Tuttavia sarebbe sbagliato far passare il messaggio che sono solo gli stranieri ad essere colpiti dallo sfruttamento, anche i cittadini australiani ne sono spesso vittime, solo che in questo momento sembra che quello che riguarda i lavoratori stranieri sia un problema che si sta allargando rapidamente”. Dalle più recenti indagini infatti, uno dei motivi per cui un lavoratore rischia di essere preda di sfruttamento è proprio la poca conoscenza della lingua e, di conseguenza, di quelli che sono i propri diritti. “Ma il bicchiere non è sempre solo mezzo vuoto – dice Gabrielle -e il rovescio della medaglia è che Istituzioni come il Fair Work sono consapevoli della situazione e stanno mettendo in campo risorse e task force appositamente dedicate ai lavoratori stranieri e temporanei, e così stiamo facendo anche noi e le organizzazioni come nostra”.
Quello degli italiani però, nell’esperienza personale di Gabrielle, è un problema in molti casi differente. “I ragazzi che provengono dall’Italia infatti, danno prova di avere un alto livello culturale generale, rispetto ai propri coetanei di altri Paesi. “Il problema – continua Gabrielle – sta nella temporaneità della loro permanenza. Nella mia esperienza infatti, molti ragazzi si dimostrano perfettamente consapevoli di non essere pagati quanto dovrebbero o di non avere un contratto, ma vedono l’esperienza di lavoro in Australia come momentanea e quindi non sentono come fondamentale mettersi a combattere per avere migliori condizioni per soli tre o sei mesi di lavoro. Questo è il problema, manca la volontà”. “Meglio questa paga per pochi mesi, che non avere proprio lavoro o avere problemi” sono portati a pensare. “Al di la di ciò tuttavia, una grande fetta dei ragazzi che si rivolgono a me come legale tramite Job Watch mi raccontano che le condizioni a cui sono sottoposti non sono certo una loro scelta, ma vengono costretti ad accettarle, altrimenti non possono lavorare o vengono licenziati”.
I casi di sfruttamento sono comunque diffusi dunque, e se le regole ci sono, forse a mancare sono i controlli. “Sicuramente per portare avanti i controlli come sarebbe necessario, il Fair Work dovrebbe avere a disposizione molti più fondi. Ma in tutta onestà bisogna dire che si fa molto, – ammette Gabrielle -, il problema è sentito. Certo non è che sia più grande di altri tempi, anzi, il problema dello sfruttamento c’è sempre stato e oggi il Fair Work Ombudsman sta facendo un grande lavoro, mandando anche forti messaggi nella società tramite la comunicazione. Sono attivi e presenti sul territorio, e si sentono”.
Tra gli studenti internazionali, però, sono le stesse politiche sui visti, che permettono di lavorare solo 40 ore ogni due settimane, che favoriscono indirettamente il ricorso al lavoro irregolare. “Sì, questo è un problema. A volte sono gli stessi studenti che necessitano di lavorare più ore per mantenersi e possono farlo solo in nero, mentre altre volte sono i datori di lavoro che li costringono al lavoro irregolare”, rivela. “La cosa grave è che gli studenti internazionali o i lavoratori temporanei vivono sempre una situazione di precarietà, che li porta ad avere pochissimo peso contrattuale. Un potere che è tutto sbilanciato verso i datori di lavoro e questo squilibrio è pericoloso”. “Soprattutto questo avviene in ambienti come quello delle pulizie e dell’hospitality – spiega ancora Gabrielle -, settori frammentati in tanti ‘piccoli business’. A volte i titolari dei piccoli esercizi non conoscono a suffi cienza le regole loro stessi e comunque è diffi cile che i controlli arrivino ai piccoli esercizi”. Con questi ultimi sta funzionando ad esempio molto bene la procedura tramite mediazioni telefoniche, dove un addetto del Fair Work media tra lavoratore e datore di lavoro e trova un accordo tra le parti. “A volte sono solo disattenzioni, poca conoscenza delle leggi o incomprensioni, cose per cui si riesce a trovare una soluzione velocemente”, conclude.
In sostanza dunque il problema è vasto e bisogna fare sempre di più, ma “l’attenzione dell’opinione pubblica è alta, anche nell’australiano ‘tipo’, perché quello del ‘fair go’ è un concetto nel quale qui si crede molto. A nessuno piace l’idea che in Australia siano diffuse situazioni di sfruttamento. La percezione che sia un danno per l’intera comunità esiste”. Un danno che anche molti ragazzi italiani stanno vivendo sulla propria pelle, ma agire è importante e per farlo, ricordatevi che non siete soli: al vostro fianco c’è Job Watch.
Per chi volesse rivolgersi al centralino telefonico di Job Watch, il servizio è gratuito e attivo per gli stati del Victoria, Tasmania e Queensland al numero 1800 331 617, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17 e il mercoledì fino alle 20.30.
Luca M. Esposito
(IL GLOBO, Eureka, giovedì 2 marzo 2017)