Ripubblichiamo, tradotto in italiano, un articolo del professor Joo-Cheong Tham uscito sul magazine online The Coversation il 22 marzo
Stiamo permettendo che condizioni salariali da sfruttamento diventino una costante nella vita dei lavoratori migranti
La Fairwork Commission ha esaminato quest’anno almeno una dozzina di casi dei cosiddetti “salari rubati”, una situazione che coinvolge centinaia di lavoratori e milioni di dollari in mancate retribuzioni salariali. E questa è solo la punta dell’iceberg.
Dopo due anni di indagine la Migrant Worker Taskforce ha pubblicato lo scorso marzo un significativo rapporto sulla condizione dei lavoratori migranti in Australia attestando come quello dei “salari rubati” sia un problema ampiamente diffuso e che con buone probabilità colpisce almeno la metà di questa categoria di lavoratori. A seguito del rapporto, il governo Federale ha assicurato che agirà tenendo conto di tutte e 22 le raccomandazioni presentate dagli autori, tra le quali, ad attirare di più l’attenzione dei media è stata quella che chiede l’introduzione di sanzioni penali per chi sfrutta i lavoratori deliberatamente ed in modo sistematico. Una raccomandazione alla quale i datori di lavoro si sono opposti. Il dibattito sollevato però su questa questione, non deve distrarre l’attenzione da altri principi fondamentali messi a rischio e per i quali il rapporto chiede un intervento immediato.
Uguaglianza davanti alla legge.
Di primaria importanza è soprattutto il principio dell’uguaglianza e la reazione del governo federale al rapporto è giustamente stata quella di ribadire come tutti i lavoratori, quale sia la loro provenienza, dovrebbero essere liberi di lavorare senza il timore di essere sfruttati. Proprio in questo senso il rapporto contiene due raccomandazioni cruciali.
La prima è quella di modificare il Fair Work Act in modo che affermi in modo esplicito la propria validità anche per quanto concerne i lavoratori migranti. La seconda è quella di estendere la copertura del programma federale Fair Entitlements Guarantee. Un sistema che permette di risarcire il lavoratore degli stipendi non incassati qualora l’azienda per cui lavora finisce in liquidazione o in bancarotta.
Il rapporto sottolinea poi con forza la necessità che i lavoratori migranti siano adeguatamente informati dei loro diritti sul posto di lavoro e propone al governo di affrontare il problema con un approccio coordinato tra i ministeri e le agenzie pubbliche.
La violazione del patto sociale
Un altro punto critico del rapporto è quello che affronta il problema dei risarcimenti, raccomandando una revisione del Fair Work Act che renda più efficace il processo delle richieste di risarcimenti di piccola entità e l’aumento delle sanzioni per chi viola i diritti dei lavoratori. Tra quest’ultime il rapporto include il conferimento ai tribunali del potere di imporre, ad una impresa condannata per aver sfruttato i lavoratori, di rendere pubblica la propria condotta impropria e, per i casi più gravi, ha ovviamente suggerito anche di infliggere sanzioni penali. In particolare per quattro settori ad alto rischio, come quello agricolo, della lavorazione della carne, delle pulizie e della sicurezza, il rapporto ha poi sollecitato l’istituzione di un National Labour Hire Regitration Scheme, in modo che le aziende colte nella violazione delle leggi del lavoro rischino di vedersi tolta la possibilità di operare sul mercato, tramite la cancellazione dal registro. Infine il rapporto chiede anche al governo di trovare un modo per proibire, alle aziende responsabili di aver pagato in modo inadeguato i propri lavoratori, di poter impiegare personale per uno specifico periodo di tempo.
Queste ultime due proposte in particolare centrano una importante questione che sta alla radice stessa del patto sociale, ossia che la possibilità di una azienda di fare impresa e profitto è frutto di una sorta di concessione parte della società e coloro che violano sistematicamente i diritti dei lavoratori perdono il proprio diritto a questa concessione. Sebbene infine ammetta l’importanza del lavoro portato avanti dal Fair Work Ombudsman, il rapporto mette però in questione se i finanziamenti, le funzioni e il potere di quest’agenzia siano adeguati nel contrastare il problema dei “salari rubati”, consigliando una verifica pubblica della sua efficacia in tal senso.
Responsabilità collettive
Ci dovrebbero essere ormai pochi dubbi sul fatto che pratiche consolidate di alcuni settori produttivi (in particolare quelli dell’agricoltura e della ristorazione) e alcune tipologie di impresa (come il franchising e le società di intermediazione) stanno contribuendo ad accrescere il problema. Ed è ugualmente chiaro il fatto che anche le grandi aziende abbiano delle responsabilità. La serie di grandi società implicate nelle violazioni includono infatti Caltex, Domino’s Pizza, Woolworths e Pizza Hut e anche ristoranti i cui proprietari sono chef famosi, come Heston Blumenthal e George Calombaris, che sono stati scoperti a pagare stipendi inferiori al dovuto ai propri dipendenti. Il rapporto tuttavia, sottolinea come non solo i datori di lavoro e il Fair Work Ombusdman abbiano il compito di far rispettare le leggi sul Lavoro, ma come ne siano responsabili anche altri attori istituzionali. Raccomanda, per esempio, come anche le imprese che esternalizzano i contratti di lavoro siano considerate complici per qualsiasi crimine legato al furto di salario commesso da società di lavoro interinale e in particolare attira l’attenzione sulle responsabilità del settore dell’istruzione, visti i profitti che questo settore ricava dalle rette di circa 800mila studenti internazionali in Australia. Molti di questi studenti infatti lavorano part-time e proprio loro sono particolarmente vulnerabili allo sfruttamento sul lavoro. Il rapporto, in questo senso, specifica che i fornitori di servizi di istruzione (scuole, università, istituti professionali) debbano essere obbligati a fornire informazioni ed assistere gli studenti quando questi hanno problemi sul posto di lavoro.
Un piano significativo
Chiaramente il rapporto non pretende di essere la soluzione finale al problema del furto dei salari e infatti la prima delle raccomandazioni dice chiaramente come il governo federale debba istituire un meccanismo integrato governativo per continuare il lavoro intrapreso dalla Task Force. Un altro principio da seguire per far si che questo lavoro risulti efficace è quello di una sistematica raccolta e analisi dei dati, senza la quale si rischia di trovarsi chiechi di fronte a ciò che sta accadendo. In questo senso, ad esempio, sta diventando significativo l’utilizzo di personale migrante per i lavori domestici, chiamati “alla pari” (au pairs).
Il rapporto poi non è certo scevro di mancanze, soprattutto per il fatto che avrebbe potuto spingere di più sulla riforma delle leggi inerenti all’immigrazione, visto il ruolo pernicioso che le condizioni di alcune tipologie di visti hanno nell’incoraggiare lo sfruttamento e inoltre non discute affatto del ruolo cruciale che i sindacati potrebbero avere nella protezione dei lavoratori. Esso rappresenta, nonostante tutto, un piano significativo per affrontare il problema crescente del furto dei salari, una questione che mina l’integrità e la coesione del nostro mercato del lavoro. Risolvere questo problema, seguendo le indicazioni tracciate nel rapporto, dovrebbe pertanto essere vissuto dalla classe dirigente come un impegno obbligatorio.
Joo-Cheong Tham
(professore associato alla Facoltà di Legge della Melbourne University, collabora tra gli altri con il quotidiano ‘The Guardian’, la rete pubblica ABC e il magazine Inside Story)
(Il GLOBO, Eureka, giovedì 6 giugno 2019)
Photo by Annie Sprat on Unsplash