Ecco quali sono le condizioni di lavoro in farm

farm report Unions NSW

Dal Rapporto “Wage theft and human rights abuses on Austraian farms” a cura del Migrant Worker Centre e di Unions NSW

 

Il settore agricolo è uno di quelli che è stato più colpito dalla chiusura delle frontiere australiane, perché la stragrande maggioranza della manodopera che impiega è composta da lavoratori stranieri, il 40% dei quali sono  backpackers che, per le regole dell’immigrazione, sono obbligati a lavorare 88 giorni nelle aree regionali per rinnovare il proprio visto.

Negli scorsi mesi proprio il settore agricolo ha infatti chiesto con insistenza al governo federale di trovare un modo per far ritornare i lavoratori stranieri in Australia, lanciando l’allarme sul fatto che in mancanza di lavoratori la frutta e la verdura sarebbe marcita nei campi e questo avrebbe creato un rapido aumento dei prezzi.

Molti hanno anche lamentato il fatto che i disoccupati australiani non siano disposti ad andare a lavorare in questo settore perché non vorrebbero “sporcarsi le mani” con impieghi che richiedono notevole impegno fisico. Un modo insomma per puntare il dito sempre verso le fasce più deboli della nostra società, con la finta retorica dei disoccupati che non avrebbero voglia di sacrificarsi.

La realtà invece è un’altra e a scoprirla è stato un importantissimo rapporto pubblicato recentemente dal Migrant Worker Center e dai sindacati del New South Wales, che hanno intervistato 1.300 lavoratori agricoli per capire quali siano le condizioni di lavoro in questo settore.

I risultati sono stati sconvolgenti, almeno per chi, diversamente da Nomit che conosce e denuncia questo problema da anni, non ha mai dato un’occhiata a cosa succede nelle campagne australiane.

Dalla ricerca, corredata anche da moltissime storie personali di lavoratori, tra i quali molti stranieri provenienti da 54 Paesi diversi, sono infatti emerse storie di un vasto e diffuso sfruttamento, di condizioni gravissime di molestie di tutti i generi, anche a sfondo sessuale e razziale. Oltre il 78% dei lavoratori sono sottopagati, con gli stipendi che vanno dai 24 dollari l’ora fino ai soli 9 dollari l’ora. Il lavoro a cottimo, molto diffuso, è quello dove la pratica del “wage theft” è maggiormente diffusa. Il 71% dei lavoratori è impiegato con contratti precari, ossia temporanei.  

Questa situazione fa allora capire perché i disoccupati australiani evitano giustamente anche solo di prendere in considerazione l’idea di andare a lavorare in questo settore ed è difficile dargli torto.

Per i backpackers, per gli stranieri, invece l’opzione non c’è, perché sono costretti dalle leggi dell’immmigrazione e, proprio in queste settimane, il governo ha pensato bene di allungare a tre anni il Working Holiday Visa per alcuni Paesi, a patto che chi lo richiede sia disposto a lavorare ancora più a lungo nelle aree rurali. Una proposta che si sta discutendo anche con l’Italia ed è stata persino caldeggiata da alcuni politici come l’ex sottosegretario Ricardo Merlo durante un incontro di qualche mese fa con la parlamentare australiana Concetta Fierravanti Wells. Fatto che mostra quanto i politici italiani non abbiano idea delle condizioni di sfruttamento alle quali rischiano di sottoporre i propri concittadini, per i quali dovrebbero al contrario pretendere il rispetto dei diritti in quanto lavoratori.

Evitando di creare altre trappole attraverso condizioni inaccettabili del sistema dei visti, nelle raccomandazioni del rapporto del MWC e delle Unions NSW si chiede invece alle istituzioni australiane di mettere immediatamente fine alla discriminazione e allo sfruttamento, introducendo un sistema di visti temporanei sostenibile che permetta un chiaro percorso verso la residenza permanente e impedisca ai titolari di visto di essere esposti a condizioni di vulnerabilità a causa del proprio status.