Per chi non avesse avuto la possibilità di leggerlo, vi riproponiamo l’articolo di Margherita Angelucci, vincitore del Multicultural Media Awards 2015, sullo sfruttamento in farm.
Nell’anno 2013-14, secondo gli ultimi dati disponibili aggiornati al 30 giugno 2014, 12.895 ragazzi italiani tra i 18 e i 30 anni sono arrivati in Australia con il visto Working Holiday.
Tra questi, 3.150 hanno chiesto e ottenuto l’estensione del visto per un secondo anno di vacanza-lavoro, avendo lavorato almeno 88 giorni nelle aree rurali di questo sconfinato continente. Un impressionante aumento del 77,5% rispetto all’anno precedente che mette l’Italia al quinto posto (dopo Taiwan, Regno Unito, Corea del Sud e Irlanda) per secondo Working Holiday Visa (WHV), e addirittura prima per incremento percentuale.
Dati sintomatici dell’uso del WHV da parte dei giovani migranti italiani che vedono questo visto sempre più come una porta d’accesso (o almeno un tentativo) alla migrazione permanente in Australia, più che come un modo per farsi una vacanza nel Paese, lavoricchiando per pagarsi le spese, come era il suo intento originario.
Agricoltori per tre mesi
Il 90% dei ragazzi che decide di prolungare la propria permanenza Down Under svolge gli 88 giorni richiesti lavorando nell’agricoltura. Gli altri si dividono tra l’edilizia e il settore minerario. Raccolgono ciliegie nel New South Wales, banane in Queensland e uva in South Australia; impacchettano verdure di ogni tipo; guidano trattori e riparano recinzioni. Lavori che molti di loro a casa non avrebbero mai fatto ma che qui, dall’altra parte del mondo, assumono un carattere avventuroso di esperienza di vita. E, soprattutto, daranno loro più tempo per trovare quell’agognato sponsor che aprirà le porte di soggiorni più duraturi.
Il governo australiano, tramite il sito del programma Harvest Trail (www.harvesttrail.gov.au) offre una lista di annunci di datori di lavoro certificati alla ricerca di manodopera agricola stagionale in tutti gli Stati d’Australia. Purtroppo, la maggior parte dei ragazzi che si accinge a partire per le ‘farm’ non è a conoscenza di questo strumento e, per trovare un impiego, si affida a canali decisamente meno ufficiali e molto meno sicuri. Incappando a volte in vere e proprie esperienze da incubo.
I guai cominciano ben prima di arrivare sui campi o nelle fattorie. Infatti, il problema spesso non sono gli agricoltori ma intermediari senza scrupoli che gestiscono gli ostelli dei backpacker e che, dietro compenso, si offrono di trovare loro lavoro.
Un ostello da incubo
È la storia di Glenda, 28 anni, anche lei come tanti connazionali italiani arriva in Australia con un Working Holiday e, per restare un secondo anno, decide di percorre la strada delle farm. Dopo un po’ di girovagare, arriva a Mildura, cittadina nel nord-ovest del Victoria, a sei ore di macchina da Melbourne, dove il fiume Murray segna il confine con il deserto. Appena arrivata all’ostello dove alloggerà, il proprietario le chiede di pagare una cauzione di 150 dollari, più due settimane in anticipo di “commissione” per trovarle lavoro. Un totale di 450 dollari in contanti, che non comprende né affitto né trasporti, entrambi da pagare a parte.
Le condizioni dell’alloggio sono claustrofobiche: 32 persone dividono cinque camere da letto e due bagni (non sempre funzionanti). I lavandini sono spessi otturati e le docce rotte per l’uso continuo. Le riparazioni sono sempre a carico dei backpacker: “Anche se serviva un semplice sturalavandini, lui chiamava l’idraulico facendoci spendere 75 dollari. Tanto che gliene fregava, eravamo noi a pagare”.
Anche quando le docce funzionano, il tempo a disposizione per lavarsi è tre minuti a testa e Glenda si ritrova spesso a uscire con lo shampoo ancora tra i capelli. “Era la casa degli orrori”, ricorda con tristezza.
Ogni sera i backpacker sono costretti a stare alzati fino a tardi per sentire le ciance e i lamenti del proprietario. Quelli che osano interromperlo o dire qualcosa che non gli piace si beccano i suoi insulti e tutti finiscono per andare a dormire solo verso mezzanotte, con appena qualche ora di sonno a disposizione.
Lavoro duro e notti
all’addiaccio
I primi backpacker alle 4 di mattina sono già svegli, pronti a salire sul pulmino che li porterà nei campi a lavorare. Il pulmino è uno solo, i ragazzi tanti e i posti di lavoro diversi e distanti anche 50 km. Più di una volta, Glenda si ritrova a sdraiarsi tra le vigne, al freddo e con la paura dei serpenti, per dormire qualche ora all’aperto fino ad essere svegliata dalle luci dell’alba.
Il lavoro è di quelli che spacca la schiena e, se va bene, paga 50 dollari al giorni, da cui bisogna sottrarre i soldi per l’affitto, il trasporto e il mangiare. “Un giorno, visto il caldo, il lavoro duro e i disagi, mi sono sentita male nel pulmino. Eravamo tutti sporchi e ammassati, mi mancava l’aria. Ho chiesto al proprietario se si poteva fermare ma lui rideva e scherniva. Con l’aiuto di un’amica sono riuscita ad aprire la porta del pulmino in corsa e mi sono buttata addosso dell’acqua per non svenire. Lui, apposta per dimostrarci il suo potere, ha preso la strada più lunga per tornare a casa, passando più volte davanti a farmacia e supermercato senza fermarsi”.
Nonostante le difficoltà, Glenda decide di tenere duro e di restare. Le servono quegli 88 giorni e, dopo più di 5 mesi di farm, non è ancora riuscita ad accumularli tutti. C’è della gente disonesta là fuori e sa che che ci sono schiere di ragazzi stranieri disposti a molto pur di ottenere il secondo WHV e per questo si permette di sfruttare, sottopagare e maltrattare sotto ricatto di non firmare i documenti che certificano i giorni di lavoro.
In fuga dopo le avances
sessuali
Per Glenda, la goccia che fa traboccare il vaso sono le esplicite avances sessuali ricevute dall’intermediario-proprietario dell’ostello che un giorno le chiede di fargli un ‘massaggio’ in cambio di un passaggio al supermercato. Un tragitto che, a piedi, richiede 40 minuti, da fare stanchi e affamati e da aggiungere al disagio di dover condividere un fornello con altre 30 persone.
Glenda non è la prima a cadere nella rete di questo individuo, la cui tecnica consiste solitamente nell’invitare le ragazze a casa sua con la scusa di finire dei “lavori di ufficio” e poi far loro proposte di carattere sessuale. Quando le ragazze lo respingono, lui si rifiuta di riaccompagnarle all’ostello e gli fa passare la notte a casa sua abusandone verbalmente mentre sono lì. Secondo i racconti delle ragazze, il proprietario dell’ostello avrebbe anche offerto 1000 dollari in contanti a due nuove arrivate in cambio di favori sessuali.
50 dollari in tasca e tanta
voglia di dimenticare
Stufa delle continue umiliazioni, Glenda scappa e denuncia i maltrattamenti subiti alla polizia di Mildura. Non avendo nessun posto dove stare, i poliziotti le offrono di passare due notti in commissariato ma l’unico consiglio che sanno darle è di lasciare al più presto la città. Da noi contattata, la polizia del Victoria ha affermato che i fatti riportati non costituiscono reato e per questo loro non possono intervenire.
Quando Glenda arriva a Melbourne ha 50 dollari in tasca e vuole lasciarsi tutta questa brutta esperienza alle spalle, ci vorrà più di un anno prima che abbia la forza di parlarne, rivolgendosi allo sportello di NOMIT (un’associazione no-profit che a Melbourne si occupa di fornire assistenza e di organizzare progetti per giovani italiani) presso il Consolato.
Come molti backpacker prima di lei, ha lasciato Mildura con meno soldi di quando è arrivata. Almeno lei è riuscita a farsi ridare i soldi della cauzione che la maggior parte dei ragazzi al suo ostello non ha più rivisto. Il proprietario promette di versarli sul loro conto bancario una volta verificati alcuni dettagli, ma i soldi non arrivano mai e loro sono già troppo lontani per poter fare qualcosa.
Regola numero uno:
conoscere i propri diritti
Ma allora come possono comportarsi i giovani che vanno a fare le farm per evitare di vivere queste terribili esperienze?
L’abbiamo chiesto al Fair Work Ombudsman, l’organismo del governo australiano che si occupa di garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori che – va sottolineato – sono gli stessi sia per i lavoratori australiani che per i lavoratori stranieri, a prescindere dal tipo di visto di cui sono in possesso.
Un ottimo inizio è proprio essere informati sui propri diritti. Tutte le informazioni possono essere trovate sul sito www.fairwork.gov.au, tradotto in 27 lingue, tra cui l’italiano. Anche una semplice ricerca su internet prima di partire all’avventura può svelarci quali siano i posti da cui stare alla larga.
Cercate lavoro attraverso
canali sicuri e denunciate
le irregolarità
Fair Work consiglia innanzitutto di diffidare da chi offre lavoro ai terminal degli autobus e negli aeroporti e di affidarsi piuttosto al sito di Harvest Trail. I backpacker a Mildura si possono recare anche presso gli uffici del Madec (126-130 Deakin Ave), una no-profit locale che aiuta a mettere in contatto i raccoglitori di frutta con gli agricoltori della zona.
Come in ogni altro lavoro in Australia, inoltre, i lavoratori agricoli stagionali devono ricevere un opuscolo informativo del Fair Work al momento dell’assunzione, un contratto scritto che specifichi le condizioni di impiego e del salario e buste paga entro un giorno dal pagamento. Il salario minimo nel settore ortofrutticolo è di 16,87 $ all’ora (21,09 $ se si è assunti casual). Si può anche essere pagati a pezzo o a cassa raccolta ma, anche così, ogni lavoratore capace dovrebbe essere in grado di raggiungere almeno il salario orario minimo.
Paghe inferiori a questi standard o deduzioni illegali dal proprio salario possono essere denunciate al Fair Work al numero 13 13 94 o 13 14 50 se si ha bisogno di un interprete.
Per questioni che non hanno a che fare con irregolarità nei compensi, ad esempio problemi con gli alloggi, Fair Work invita a rivolgersi al National Harvest Information Service al numero 1800 062 332.
In questi mesi, inoltre, NOMIT sta raccogliendo testimonianze sulle esperienze in farm in vista di un nuovo forum, svolto in collaborazione con le istituzioni australiane, per informare i ragazzi che decidono di intraprendere questa esperienza lavorativa. Chiunque fosse interessato a partecipare o ad offrire il proprio contributo può scrivere alla mail nomit@italianimelbourne.it proponendo le proprie idee o raccontandoci le proprie storie. Siamo sicuri che una maggiore informazione e la collaborazione di tutti, potrà aiutare a prevenire molte spiacevoli situazioni.
Margherita Angelucci
(IL GLOBO – Eureka, 22 dicembre 2014)