Nella società globalizzata in cui viviamo, la mobilità è considerata “una prospettiva normale”, come sottolineano gli autori del rapporto Idos/Confronti, da cui emerge che lo scorso anno, altri 250.000 italiani hanno intrapreso la via dell’emigrazione; ma cosa c’è di realmente “normalizzato” in questo fenomeno?
Sono cittadini “normali” i più di 4.800.000 italiani che, secondo l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, risiedono lontano dal suolo natio? Sicuramente no, almeno sul piano della rappresentanza politica, tanto per cominciare. Nonostante il diritto di voto degli italiani all’estero sia un’esplicita emanazione costituzionale, l’implementazione data dall’attuale Legge Elettorale prevede solamente 18 rappresentanti, tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, per rendicontare bisogni e istanze dell’intera Circoscrizione Estero che per popolazione, è utile ricordarlo, è superiore alla somma tra i due collegi rappresentanti la Regione Lazio, per esempio.
Non solo. L’AIRE non intercetta che una parte degli italiani residenti all’estero, visto che molti anche data l’inefficace rappresentanza che ne scaturisce, non trovano vantaggi nel cambio da una residenza “fisica”, seppur lontana, ad una percepita quasi come “virtuale”. Ne consegue che il quadro restituito dall’AIRE è quindi sensibilmente sottodimensionato, per capire di quanto, si consideri che, dei più dei 10.000 italiani che ogni anno raggiungono la sola Australia con un Working Holiday Visa, non v’è praticamente traccia.
Non è normalizzabile neanche la figura dell’”italiano all’estero”.
Cercando tra i tanti che, risiedendo all’interno dello Spazio Schengen, godono della “libera circolazione” garantita dai trattati europei infatti, è impossibile trovare un archetipo che centri qualcosa con uno dei 133.000 italiani in Australia, alle prese con visti sempre più vincolanti che li rendono meno appetibili sul mercato del lavoro, e assicurazioni sanitarie private. Né tantomeno c’è aderenzialità con la situazione dei quasi 117.000 italiani in Venezuala, i quali sperimentano giornalmente sospensioni di diritti umani, tipiche di un paese sull’orlo del collasso.
Se i 18 rappresentanti degli “alieni d’Italia” possono far ben poco, come dimostrato dalla loro storia parlamentare, cosa fa il resto della politica italiana? Cosa fanno quei partiti definiti “romani” da Merlo, Presidente del MAIE, per la sua “colonia virtuale”?
Difficile trovare un interlocutore interessato, proprio per la sproporzione tra il consistente peso lordo della criticità sociale e il suo netto politico così poco significativo, ma in Italia c’è chi ora, più di altri, sta cercando di legiferare sul quanto e sul come deve essere libera la circolazione delle genti.
Con la loro iniziativa “Ero Straniero”, i Radicali Italiani provano a fotografare con oggettività la situazione della “mobilità umana” che, vista dalle coste italiane, viene subito percepità come “il problema dell’immigrazione”. Di quella foto, ci piacerebbe che per una volta si guardasse al suo negativo per capire se “iniziative di scopo”, siano ponderabili non solo per chi entra ma anche per chi esce, uscirà o è uscito. Per questo abbiamo fatto qualche domanda a Antonella Soldo, Presidentessa dei Radicali Italiani.
Presidentessa, prima di tutto, voi lo sapete che qui non ci son solo super cervelli al pascolo, asportati da crani italiani? Lo sapete, nonostante le rubriche giornalistiche di tante testate, che i quasi 5 milioni di italiani all’estero, sono una formazione sociale complessa dove le eccellenze, così come le situazioni di privilegio sociale ed economico, rappresentano una minima parte?
Ovviamente la popolazione di italiani che emigra all’estero è molto composita. così come lo è la popolazione nazionale. E questo perché in un paese in crisi economica le difficoltà nel trovare un lavoro sono comuni a tutte le fasce sociali: a quelle più istruite, così come a quelle che hanno una formazione di altro tipo. l’unica cosa in comune è che si tratta per la grandissima parte di giovani.
Se si, non credete dunque che siano meritevoli di una specifica attenzione politica? O anche solo di un’attenzione politica blanda? Mi riferisco alla politica nazionale perchè quella specifica di circoscrizione, come sa, se non è disarmata spara a salve.
Beh, certo. Occorre prestare attenzione alla complessità del fenomeno. Non c’è una ricetta buona per tutto: la composizione della popolazione emigrante è diversa, come diverse sono le ragioni che spingono questi concittadini a lasciare l’Italia. Bisogna guardarle una per una e cercare di capire come poter ottenere dalla singola ricerca di nuove possibilità di un cittadino, un beneficio che possa essere insieme di quella persona e dello stesso paese. Per esempio, a partire dalla questione dei ricercatori italiani che, dopo essere stati formati nel nostro paese, purtroppo sono costretti a guardare altrove per continuare il proprio lavoro.
A proposito. Lei non la riformerebbe la Circoscrizione Estero? Se si, come?
L’Italia è un paese che ha creato le basi della sua storia moderna sull’emigrazione. Tuttavia, anche le sfide dei giorni nostri che fanno dell’Italia un paese d’approdo prima che di partenza, al centro di uno dei fenomeno migratori più imponenti del secolo, impone delle riflessioni. E impone innanzitutto di considerare come modificare una legge sulla cittadinanza iniqua che non dà alcun diritto a chi è nato in Italia se questi è figlio di genitori stranieri, e che invece permette di votare all’estero a chi non conosce il nostro paese, non ne parla la lingua e magari non vi ha mai messo piede. Le due anime dell’Italia, quella di un paese di emigrazione e quella di un paese di immigrazione devono bilanciarsi.
Le ideologie non sono morte, checché se ne dica. Anche senza rendersene conto, tutti gli italiani all’estero che si riuniscono in associazioni di qualsiasi scopo sociale, lo fanno in maniera più o meno consapevole in ossequio al Principio di Sussidiarietà; un principio costituzionale che spesso ha animato le battaglie dei Radicali. Si può sperare quindi, che per un sillogismo aristotelico, i Radicali si candidino all’estero?
La questione delle elezioni per noi è un po’ più complessa, e oggetto di dibattito interno. Non ci candidiamo automaticamente ad ogni competizione elettorale, ma crediamo che ci siano molti strumenti per fare politica: per esempio quelli della partecipazione popolare, come il referendum. Ed è proprio dal referendum che occorre partire: se infatti il voto degli italiani all’estero incide sulle elezioni politiche di meno rispetto a quello dei residenti in Italia, questa differenza non esiste, invece, per i referendum: quattro milioni di italiani all’estero “pesano” esattamente come quattro milioni di residenti in Italia.
Fabrizio Venturini
(IL GLOBO, Eureka, giovedì 7 settembre 2017)