Presentato a Roma il 17 ottobre scorso, il Rapporto Italiani nel Mondo curato dalla Fondazione Migrantes torna a mettere l’accento su un tema, quello dell’emigrazione italiana, che si conferma essere il grande assente dal dibattito politico nazionale.
Come sottolineato dal direttore della Fondazione don Giovanni De Robertis i media “danno un grande risalto agli sbarchi, agli arrivi, ma non un uguale risalto all’emigrazione italiana”, un fenomeno che negli ultimi 10 anni ha assunto proporzioni talmente rilevanti da ricordare le grandi stagioni migratorie del passato.
Dal 2006 al 2016 infatti, quella che oggi è piuttosto definita unanimemente “la mobilità italiana” è aumentata del 60%, facendo schizzare il numero delle registrazioni all’Aire dai poco più di 3 milioni a quasi 5 milioni di iscritti. Il trend, in continua crescita, è confermato anche dai dati del 2016, pubblicati dalla Fondazione Migrantes, secondo i quali gli espatri dello scorso anno sono stati 124.076, 16.547 in più rispetto al 2015, un incremento percentuale del 15,4%. “Di questi – riassume Migrantes – oltre il 39% ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni (oltre 9mila in più rispetto all’anno precedente, +23,3%) e un quarto tra i 35 e i 49 anni (quasi +3.500 in un anno, +12,5%)”. Le partenze non sono più individuali, ma coinvolgono in diversi modi la “famiglia”, intendendo sia il nucleo familiare più ristretto, ovvero quello che comprende i minori (oltre il 20%, di cui il 12,9% ha meno di 10 anni) sia la famiglia “allargata”, quella cioè in cui i genitori – ormai oltre la soglia dei 65 anni – diventano “accompagnatori e sostenitori” del progetto migratorio dei figli (il 5,2% del totale). A questi si aggiunga il 9,7% di chi ha tra i 50 e i 64 anni, i tanti “disoccupati senza speranza”.
Particolare che desta stupore, ma già sottolineato più volte dai dati di Nomit, è che sono le regioni più ricche del Nord a essere coinvolte maggiormente dal fenomeno, con la Lombardia a cui va il primato delle partenze (23mila), seguita dal Veneto (11.611), dalla Sicilia (11.501), dal Lazio (11.114) e dal Piemonte (9.022). Unica eccezione tra tutte le regioni italiane è quella del Friuli-Venezia Giulia, dove le partenze sono diminuite del 7,3%.
Tra le mete, l’Europa si conferma quella più ambita da chi lascia l’Italia, con il primato assegnato al Regno Unito che, nonostante la Brexit, ha incrementato quest’anno le iscrizioni Aire di 24.771 unità, seguito dalla Germania (17.178) e dalla Svizzera (11.759). Per quanto riguarda i Paesi extraeuropei, gli Stati Uniti sono la nazione che ha visto il maggior incremento di arrivi di italiani nel 2016 rispetto all’anno precedente, ma la meta che in numeri assoluti ha registrato maggiori ingressi è stato il Brasile (6.829). Da evidenziare, tra le prime 15 destinazioni dell’ultimo anno, gli aumenti percentuali – anche se con valori assoluti profondamente diversi dalle principali mete suddette – relativi all’Irlanda (+57,6%), alla Spagna (+31,6%) e all’Australia (+22,2%). I numeri molto significativi anche di quest’anno riportati da Migrantes e rintracciati incrociando i dati Istat con quelli dell’Aire e della Banca d’Italia, non rivelano tuttavia alcune indicazioni delle quali bisogna tenere conto.
Intanto l’elemento che non bisogna scordare è che solo una piccola parte degli italiani che si spostano dall’Italia si registra all’Aire, quindi i numeri reali, come sottolineato dal recente rapporto Idos/Confronti potrebbero essere molto maggiori e raggiungere addirittura le 280mila unità. Ma soprattutto, nell’analizzare verso quali Paesi questo flusso è diretto bisogna tenere conto di diversi fattori. Da una parte, il Regno Unito e la Germania, che risultano le mete più ambite, hanno dei sistemi di welfare che richiedono una sorta di registrazione e spingono quindi i nuovi arrivati a relazionarsi anche con le proprie strutture diplomatiche, rendendo probabilmente necessaria la conseguente registrazione all’Aire; dall’altra è indicativo l’incremento degli arrivi di italiani in Paesi come il Brasile, gli Stati Uniti o la Spagna, tutte nazioni vicine geograficamente o culturalmente al Venezuela o ad altri Paesi dell’area latina in forte crisi economica. Paesi dove la presenza di cittadini italiani per discendenza è numerosa e da dove potrebbero provenire la maggior parte di coloro che hanno trasferito la propria residenza Aire.
Di questi, anche se in misura minore, fa parte anche l’Australia, e questo fenomeno, oltre a esserci stato confermato da nostre fonti presenti in Spagna, è stato registrato anche allo sportello Welcome presso il Consolato Generale d’Italia a Melbourne, dove l’arrivo di utenti di nazionalità italiana provenienti dal Sud America e che spesso nemmeno conoscono l’italiano è aumentato sensibilmente nell’ultimo anno.
Ciò non toglie che l’Australia sia ancora una meta raggiunta da molti italiani provenienti dall’Italia, in prevalenza giovani, ai quali anche nell’edizione 2017 il Rapporto Italiani nel Mondo ha dedicato una sezione particolare della propria indagine. Più che altri Paesi, l’Australia, soprattutto per le politiche immigratorie restrittive messe in campo dal governo di Canberra, risulta principalmente meta di una forma di mobilità italiana e non di una vera e propria emigrazione, come più volte già sottolineato. Che questo fenomeno sia poi segno di una scelta volontaria, piuttosto che di una imposizione, lascia parecchi dubbi, come gli stessi dubbi sorgono quando il fenomeno della mobilità dall’Italia viene interpretato come segno dei tempi, dettati dalla globalizzazione e dalla sempre maggiore facilità a spostarsi in giro per il mondo.
“Davanti alle giuste richieste della libertà di movimento – afferma monsignor Guerino Di Tora, presidente della fondazione Migrantes – è doveroso pensare anche alla libertà di restare”. “Oppure, a quella di poter rientrare, e sono in tanti – sottolinea Di Tora – che non riescono a rientrare mentre l’Italia ha un urgente bisogno di essere rilanciata, svecchiata, ricostruita”. “In questo – conclude il presidente -, la valorizzazione delle nuove generazioni è il tema centrale per la rinascita dell’Italia”. Una valorizzazione che è compito della politica portare avanti, in questo colpevolmente e gravemente deficitaria. E’ alla politica che infatti spetta il compito di trasformare questa mobilità da “unidirezionale”, fatta di ritorni sempre più improbabili, in “circolare”, facendo sì che, le esperienze acquisite nel confronto con altre culture e altre realtà si trasformino in elemento di crescita per una generazione che, facendo ritorno in Italia, torni anche a essere il futuro del Paese.
Luca M. Esposito
IL GLOBO, Eureka, giovedì 2 novembre 2017)