La cutura italiana è qualcosa di cui tutti, soprattutto all’estero, si riempiono la bocca. Ma rispondere alla domanda cos’è la cutura italiana e darne una immagine visibile, tangibile, è un compito difficile. Di sicuro, la cultura in generale è uno strumento. Uno strumento che la società in cui siamo nati e cresciuti ci ha messo a disposizione per interpretare il mondo dove viviamo e che, soprattutto, ci permette anche di immaginare il futuro in cui vorremmo vivere.
Oggi, in particolare all’estero, la cultura italiana è confusa con la tradizione, con i costumi, moltissimo con la gastronomia e con lo stile di vita. E’ distorta, perché viene tramutata in un brand e utilizzata come strumento di marketing. Ma se pure tradizione, costumi, arte culinaria e stile di vita, fanno certamente parte della nostra cultura, come di tutte le culture, il tratto caratterizzante della cultura italiana risiede nella sua memoria.
Più di altre culture infatti quella italiana ha saputo ricordare, fare soprattutto della Storia, della sua storia, un racconto tramandato di generazione in generazione e che è stato utile non solo a capire il valore della conservazione, ma anche di come quella memoria e quella conservazione fossero incredibili strumenti per osservare in nostro presente e sui quali porre le basi del nostro futuro.
Con la globalizzazione, con la perdita di quanto questa memoria, di quanto la nostra storia sia importante, l’Italia sta impoverendo molto la sua essenza stessa come nazione e come cultura, ma in mezzo a tutto questo, c’è anche chi, tra le nuove generazioni, sta facendo uno sforzo per rimettere al centro e ricordare gli insegnamenti della nostra cultura.
E’ in questo senso che il lavoro di Massimo Corsini, con il suo progetto MXC è grande espressione della cultura italiana, dell’immagine più moderna e più proiettata verso il futuro della nostra cultura, proprio perché esprime il tratto caratterizzante di ciò che la cultura italiana è nella sua essenza più profonda. Ed è curioso, ma fa riflettere, come sia la lingua inglese a definire in modo più diretto e immediato il concetto che sta dietro al lavoro di Massimo, quello dell’upcycling, ossia il riutilizzo di oggetti che hanno ormai terminato la funzione per la quale erano stati creati, ma che invece di diventare rifiuto, grazie al lavoro e alla creatività, prendono una forma nuova che addirittura aumenta il loro valore. Non solo qualcosa che guarda al futuro del nostro pianeta e che reinterpreta il nostro presente, ma che trae ispirazione proprio nella storia della nostra cultura.
Le grandi vestigia del passato romano, per fare solo un esempio, sono giunte fino a noi, infatti, grazie al “riutilizzo creativo” che il popolo ne fece durante il medioevo. In epoche più recenti i monumenti furono poi ripuliti, ma ancora a Roma ci sono diversi esempi, come il teatro di Marcello nel campo Flaminio, accanto al ghetto e alle pendici del Campidoglio, che in epoca medievale fu prima trasformato in castello fortificato e poi in palazzo nobiliare. O ancora Castel Sant’Angelo, che da Mausoleo dell’imperatore Adriano divenne una fortezza centrale nella difesa di Roma. Un nuovo e accresciuto valore sociale per quell’epoca di grandi stravolgimenti, dunque.
L’Upcycling insomma fa parte della nostra cultura, ne è espressione e oggi diventa una grande sfida alla difficile crisi dei rifiuti che mette a repentaglio il nostro ambiente. Proprio il nuovo valore sociale dei materiali è ciò su cui Massimo si è concentrato: “Mi ha sempre colpito la discordia tra il design e il fascino del mondo della moda, con le società che scartano frivolemente i prodotti di consumo. – ha spiegato parlando del suo lavoro – Questo pensiero mi ha portato a guardare oltre il valore sociale percepito di un oggetto e considerare una nuova possibilità e dimensione per l’oggetto e da qui è emerso il mio progetto “.
Un progetto che ha radici profonde proprio nella cultura italiana ed è per questo che Nomit ha sempre promosso il lavoro di Massimo ed è orgogliosa di sostenere la sua partecipazione alla Melbourne Design Week di quest’anno. L’esposizione è visitabile fino a maggio presso il Museo Italiano di Faraday St, Carlton.