Non lasciamogli campo libero

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Le informazioni emerse dal rapporto Idos/ Confronti, non hanno solo l’intento di mettere sotto i riflettori le proporzioni di un fenomeno in continua crescita, ma esortano l’opinione pubblica a guardare all’emigrazione giovanile italiana da una prospettiva differente.

Il suo costo sociale e demografico è infatti un problema politico che la classe dirigente non può continuare ad evitare. “Seppure in un contesto globalizzato la mobilità rappresenti una prospettiva normale – viene sottolineato su Confronti -, è necessario occuparsi con maggiore concretezza dell’assistenza a quanti si sentono costretti a emigrare, assicurando loro in pieno il diritto di essere cittadini italiani, incluso il voto”.

Da queste preziose considerazioni, emerge come la trita manfrina sui “cervelli in fuga” e sui risultati planetari di chi si trasferisce all’estero non è solo riduttiva, ma continua a creare attorno al fenomeno una retorica quantomeno fuorviante. Una retorica che non sprona, né stimola, la classe politica a confrontarsi con il problema; alimenta le false speranze di molti spingendoli ad idealizzare il trasferimento all’estero in sé come la soluzione di tutti i propri problemi esistenziali; costringe coloro che l’emigrazione la stanno vivendo a subire uno stato d’animo diviso tra spaesamento e ambiguità. Un misto di orgoglio e amarezza che investe la sfera del quotidiano e il rapporto con l’Italia. Un sentimento che, bene o male, attraversa il cuore di molti che con fatica stanno affrontando la propria esperienza all’estero in cerca di fortuna o soddisfazioni differenti da quelle che trovava no in patria, ma a prezzo di una lontananza da affetti e bellezze tra cui sono cresciuti.

Un cuore che, molto più del cervello, è il vero protagonista di questa storia e che si tende spesso a sottovalutare, come scrive Samuele Mazzolini, uno dei fondatori del Movimento Senso Comune e lui stesso un italiano residente all’estero: “A migrare, infatti, non sono solo grandi menti spesso effettivamente boicottate – ragiona Mazzolini -, ma anche e soprattutto gente che pratica professioni comuni: baristi, infermieri, panettieri, muratori, giovani ancora alla ricerca della propria vocazione così come tanti lavoratori cognitivi che non sono necessariamente dei fenomeni. Se c’è una cosa odiosa è quella di separare i destini dei primi dai secondi, cercando di imporre delle storie individuali su un fenomeno collettivo. Non cervelli dunque, ma cuori in fuga”. “Il fenomeno dei cuori in fuga colpisce tutti, indistintamente – conclude il suo pensiero -. Colpisce i nostri genitori, che si vedranno privati della più preziosa delle compagnie, specialmente negli anni più critici della loro esistenza; colpisce noi, costretti a lasciare tutto e tutti e a soff rire di una malinconia strisciante; colpisce i nostri figli, che cresceranno pensando all’Italia come al Paese esotico di mamma e/o papà, senza magari saper cucinare nemmeno una pasta”.

La responsabilità di questa “malinconia strisciante”, che sentiamo in molti, e che vedo negli occhi di diversi amici da queste parti, deriva dal fatto che ci sentiamo tutti un po’ costretti. Certo, fare nuove esperienze o vedersi valorizzati porta soddisfazione e crescita personale, ma allo stesso tempo fa sorgere anche un forte senso di disagio, un’aleggiante impressione di solitudine, a volte addirittura una frustrazione, frutto già della società parcellizzata e senza punti di riferimento in cui viviamo, ma ancora di più, alimentato anche dalla retorica da cui siamo circondati, che tende a dividere, mai ad unire.

Per questo, è essenziale ricordarci che il problema è in realtà politico: “Un disegno oligarchico di governi”, lo chiama Mazzolini. L’unica cosa che può aiutarci ad affrontare quella malinconia, quel senso di solitudine, è vivere in modo collettivo, e politico, la nostra situazione, in una condivisione e in un dialogo, che, perché no, potrebbero concretizzarsi anche nel colpire politicamente, con il voto che ancora all’estero ci è concesso, “quel disegno oligarchico”, evitando, anche stavolta, di lasciargli campo libero. 

Luca M. Esposito

(IL GLOBO, Eureka, giovedì 20 luglio 2017)