Non siamo i “cristianironaldi” della migrazione

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Riproponiamo un estratto del contributo che Nomit ha inviato al Centro AltreItalie e che è stato pubblicato nel volume “Il mondo si allontana? Covid-19 e le nuove migrazioni italiane” (Accademia University Press, 2020), curato da Maddalena Tirabassi e Alvise Del Prà.

 

Anche in Australia esistono categorie di invisibili e tra questi, piaccia o meno alla retorica attuale, ci sono anche gli italiani in possesso di un visto temporaneo.

Ciò è stato reso ancora più evidente in questo anno di pandemia ed è dovuto alla strategia di gestione dell’immigrazione quasi completamente impostata sulla precarietà del sistema dei visti e che non varia troppo significativamente al cambiare dell’orientamento politico dei diversi governi. In pratica, si vuole far crescere la popolazione australiana attraendo lavoratori qualificati da paesi culturalmente simili all’Australia. Il sistema dei visti è molto preciso e molto rigido, viene rivisto ogni sei mesi per essere sicuri di attrarre lavoratori necessari alle esigenze di quel momento e disincentivare tutti gli altri. Con l’esplodere della pandemia del Coronavirus il governo australiano ha distinto nettamente tra i cittadini australiani o residenti permanenti e tutti gli altri. I primi hanno rice vuto aiuti anche significativi, i secondi sono stati lasciati soli e in alcuni casi esplicitamente invitati ad andarsene. Molti dei ragazzi con cui Nomit è venuta in contatto in questi mesi difficili hanno raccontato la loro amarezza per essersi sentiti trattare come persone di serie B. Sono tutti arrivati rispettando le regole e le condizioni imposte dalla legge, alcuni sono qui da un periodo anche lungo, magari diversi anni, pagano regolarmente le tasse, ma per il solo fatto di non avere un visto permanente non sono stati in alcun modo sostenuti. È questo che li fa sentire sfruttati quando serve al Paese e abbandonati quando la situazione diventa difficile.

Da questa consapevolezza è nato dunque l’impegno di Nomit durante la pandemia in aiuto dei tanti italiani in difficoltà e che è stato possibile grazie alla solidarietà dimostrata dalla comunità italiana, che ha raccolto per questo oltre 100mila dollari. Un momento che per noi tutti ha avuto un grande significato e ci ha permesso il sostegno a chi ne aveva bisogno portato avanti da Nomit da aprile a fine ottobre.

Un progetto ispirato ai principi costituzionali di solidarietà, sussidiarietà e mutualità, attuato da volontari che vivevano in quei giorni le stesse difficoltà e le stesse incertezze di coloro che si stavano impegnando ad aiutare. Il profilo di noi membri di nomit infatti, è lo stesso di tutti gli altri lavoratori migranti. Anche noi crediamo che certe volte bisogna andarsene per essere più presenti a sé stessi: in alcuni casi questa è una necessità di sopravvivenza, in altri una vocazione e in altri ancora l’inseguire un sogno, ma il principio è sempre quello della ricerca. Siamo un po’ di tutto, l’unica cosa che non siamo è una «eccellenza», ovvero quei «cristianironaldi della migrazione» che vengono spesso raccontati e che ci fanno ridere, come se il processo migratorio fosse una competizione che si gioca tra campionati migliori e peggiori, dove la «fucina Italia» sforna continuamente campioni inadeguati alla propria presunta cultura del catenaccio. Ecco, questa roba qua non esiste proprio, sarebbe meglio smettere di raccontarla perché ne usciamo tutti male, a parte Cristiano Ronaldo. Più mediani che fantasisti, cerchiamo di giocare per la squadra, che nel nostro caso è una grande formazione sociale transnazionale e generazionale.