Nuovi fondi contro lo sfruttamento del lavoro

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Sono stati sei i gruppi vincitori di un bando del Fair Work per fi nanziare progetti a difesa dei diritti dei lavoratori

Il Fair Work Ombudsman è impegnato da tempo nella difesa dei diritti dei lavoratori più vulnerabili. Quelli più a rischio di essere sottopagati, sfruttati, maltrattati, soprattutto a causa di fattori legati all’età, alla condizione di migranti temporanei o di scarsa conoscenza della lingua inglese. Ha promosso campagne di informazione, lanciato controlli costanti sulle aziende rispondendo alle denunce dei lavoratori e comminato multe  e ordini di rimborso a chi sottopagava i propri dipendenti o non ne rispettava i diritti.

Con il nuovo Community Engagement Grants Program, ora Fair Work muove un ulteriore passo avanti, coinvolgendo i gruppi già attivi nella comunità nella difesa dei diritti dei lavoratori e mettendo a loro disposizione 7,3 milioni di dollari, stanziati nel budget federale per il 2016-17, nell’arco di quattro anni. In quest’ottica, Fair Work ha aperto lo scorso anno un bando a cui hanno risposto ben 81 organizzazioni e gruppi comunitari diversi rappresentativi di tutto il territorio australiano, tutti con standard molto alti, fa notare l’ente governativo nel comunicato stampa con cui, a inizio gennaio, ha annunciato i sei vincitori: JobWatch, Growcom, Redfern Legal Centre, Employment Law Centre of WA, Working Women’s Centre NT e Working Women’s Centre SA.

Uno dei settori maggiormente interessati dallo sfruttamento dei lavoratori è quello agricolo, come ha messo in evidenza anche l’inchiesta del Senato federale “A National Disgrace”. È per questo che Fair Work ha destinato un’importante parte dei fi nanziamenti al principale ente di rappresentanza del settore ortofrutticolo del Queensland, Growcom, che lavorerà inizialmente con gli agricoltori di quello Stato per informarli sui loro obblighi nei confronti della manodopera che impiegano, per poi espandersi in diverse zone del territorio australiano, collaborando anche con altre organizzazioni.

La maggior parte degli agricoltori vuole fare la cosa giusta, ma spesso c’è ignoranza sulle leggi che regolano il settore, ci spiega in un’intervista telefonica Rachel Mackenzie, Chief Advocate di Growcom, raccontando di come alcuni di loro fossero sconvolti al pensiero che ignobili episodi di sfruttamento si stessero verifi cando proprio in Australia. Ma i ‘buoni’ sono spesso off uscati e penalizzati da coloro che non rispettano le regole e che, sottopagando la manodopera, che per gli agricoltori rappresenta il costo maggiore, abbassano i prezzi facendo concorrenza sleale. È per evitare che questo continui ad accadere che Growcom, lavorando fi anco a fi anco con Freshcare, un ente di certifi cazione e controllo qualità che opera come no-profi t, sta lavorando a un’iniziativa molto importante. Gli agricoltori parteciperanno a dei corsi non solo per imparare a lavorare nel rispetto dei diritti dei lavoratori previsti dalla legge, ma ad andare oltre, diventando datori di lavoro di qualità. In questo modo, riceveranno una certifi cazione di trattamento etico dei lavoratori e verrà fatta pressione sulle catene della grande distribuzione affi  nché favoriscano i prodotti con tale certifi cazione. L’obiettivo, spiega Rachel Mackenzie, è che nessun prodotto senza certifi cazione etica venga venduto dai supermercati australiani. Una simile certifi cazione– auspica la Chief Advocate – dovrebbe essere introdotta per le agenzie di somministrazione e gli appaltatori di manodopera (labour hire). “Un problema enorme”, ammette, perché spesso sono proprio questi a non pagare adeguatamente i lavoratori o a fare deduzioni illecite dai loro salari. I ‘farmers’ spesso lo sanno ma non ne possono fare a meno: con un fabbisogno di anche 500 backpacker durante la stagione del raccolto, gli appaltatori sono necessari. Growcom ci tiene a specificare che il lavoro dei backpacker è molto apprezzato ed è una fonte di manodopera essenziale per tutto il settore agricolo. “Il governo sta facendo passi avanti [per far luce sui punti oscuri della somministrazione di manodopera] – ammette Mackenzie – , ma non basta. La ‘backpacker tax’ è stata una perdita di tempo. Ha fatto infuriare gli agricoltori per poi tornare praticamente al punto di partenza”. Tante energie sprecate che sarebbero potute essere utilizzate per mettere in campo indispensabili politiche per regolamentare il  ‘labour hire’. “Politiche che devono essere nazionali e non variare da stato a stato”, è l’appello di Growcom.

Margherita Angelucci

(Eureka, IL GLOBO, giovedì 2 febbraio 2017)