PENSIERI SPARSI IN OCCASIONE DELLA FESTA DELLA DONNA

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Da più di un secolo nel mondo si celebra l'”International Women’s Day”, che dovrebbe essere un’occasione non solo per riflettere sui drammi che ancora riguardano le donne ma anche per celebrare i risultati raggiunti lungo decenni di lotte, conquiste e sacrifici. Per questa importante occasione, all’interno di Nomit abbiamo raccolto alcune testimonianze e idee che provengono dalle esperienze e speranze di alcune di noi, perché ogni giorno ci chiediamo che cosa significa essere donna e speriamo che il futuro sia un domani più equo e spensierato del nostro oggi.

 

Giulia

Fino a pochi anni fa non avrei mai pensato che un domani non troppo lontano avrei trascorso l’8 marzo a migliaia di chilometri dalla mia cittá natale e dai miei affetti.

Dopo quasi 5 anni a Melbourne in cui ho ricostruito la mia vita da sola partendo dalla mia valigia, posso sentirmi più che soddisfatta come donna. Sono consapevole che questo risultato non solo è merito dei miei genitori che hanno sempre creduto nelle mie capacità fin da bambina, ma anche dei frutti di chi prima di me si é battuta per il suffragio universale, la sicurezza e i pari diritti nello studio e nel lavoro.

Tuttavia siamo ancora ben distanti dall’abbattere tutti gli ostacoli che impediscono alle donne un pieno raggiungimento del loro potenziale e su tutti imcombe come un mostro quello della violenza maschile. Non riesco a spiegarmi come nel 2017 sia possibile che mariti uccidano mogli, ex fidanzati strangolino le fidanzate che si rifanno una vita, o che i padri abusino delle figlie. Questo tipo di brutalità, che non esiste in natura, potrà finire solo quando gli uomini diventeranno tali, quando sapranno accettare i NO e sfogheranno la loro frustrazione ben lontano dalle donne che hanno intorno.

É necessario un percorso di crescita morale e sentimentale per insegnare nuovamente il senso della parola rispetto per l’essere umano e cancellare per sempre la violenza dalle nostre vite.

 

Sara

Ho conosciuto per la prima volta Cesarina, una dolce ultranovantenne, sabato scorso. In comune, solo il luogo d’origine, le campagne venete, e dove ci siamo trasferite, giovani e con una valigia piena di sogni.

Figlia dei “ruggenti” anni Venti, nata alle porte di Treviso, a undici è andata a servire, per mantenere la famiglia e il re e il principe (alias i suoi fratelli). Adolescente si ritrova operaia a Verbania, a 17, tornata in Veneto, scappa dalla padrona attraversando il Piave in piena notte, incurante di Pippo o la guerra.

Ho molto di cui essere grata per questa Festa della Donna. Sono grata che, a 11 anni, ho avuto il mio primo scontro con l’essere “discriminata” per essere femmina: proprio non ci arrivavo perché i miei fratelli potevano fare la lavanda dei piedi al giovedì santo e io no. Sono grata perché a 14 anni, i miei non mi facevano uscire sola ma ho potuto passeggiare ogni mattina per Venezia per frequentare la scuola che ho scelto. A 17 anni, non potevo andare in vacanza con le amiche ma ho avuto la libertà di innamorarmi.

La situazione della donna media è migliorata dai tempi di Cesarina ai miei. Ma tante, ancora, le speranze che ripongo nel futuro di una figlia, che ancora non ho (perché come-faccio-con-la-carriera-dove-troviamo-i-soldi-siamo-ancora-in-affitto -etc).

Spero che un giorno possa andare in giro da sola la sera, incurante degli abiti che indossa, spensierata, tanto al colloquio dell’indomani non le verrà chiesta l’età, lo stato civile o se ha figli (con il rischio di non ottenere il posto). Saprà di contare tanto quanto i colleghi uomini anche nella misura degli stipendi perché il mondo avrà molte più donne come lei nei punti che contano e non certo grazie alle quote rosa.

 

Margherita

Il mio augurio per questo 8 marzo è che tutti i modi di essere donna vengano accolti dalla società senza giudicare. Crescendo mi sono spesso sentita chiamare “maschiaccio”. Perché non mi piaceva indossare gonne, perché non avevo gli orecchini, perché mi mettevo i pantaloni larghi, non mi truccavo, per i miei gusti musicali e per tutti gli amici maschi con cui uscivo.

Stranamente questa etichetta mi è stata affibbiata più spesso da altre ragazze che dal sesso opposto, e me la sono affibbiata anche io nella mia mente.

Mi sono sempre piaciuti i ragazzi, in tutti i sensi, anche al punto che avrei voluto essere uno di loro, tanto la loro vita mi appariva (superficialmente) più comoda della mia. Il mio sentirmi diversa dalle ragazze che mi circondavano, che il sabato pomeriggio vedevo ‘sfilare’ in centro, mi ha perfino spinta a dubitare delle mie preferenze sessuali in qualche occasione. Non mi piace mettermi fondotinta e mascara, sarò forse lesbica? Come se poi una donna omosessuale si potesse riconoscere così, dal modo in cui appare.

Quando ho visto il documentario “Il Corpo delle Donne” di Lorella Zanardo, che fa notare come noi stesse ci giudichiamo in base a categorie imposte dalla società patriarcale, come noi stesse ci vediamo attraverso gli occhi di quegli uomini che ci oggettificano, mi è scattato un campanello d’allarme. È proprio vero. E non ce ne rendiamo neanche conto, tanto è un atteggiamento che vediamo perpetuato da quando siamo piccole. Ci sembra del tutto normale, ad esempio, che, accendendo la TV all’ora di cena, ci siano un gruppo di ragazze seminude che si muovono ammiccanti su una passerella intorno a un presentatore uomo in giacca e cravatta. Tanto che quando mi sono trasferita in Australia ho provato quasi un senso di disorientamento a non trovare le stesse ragazze nei game show locali.

Mio marito deve ancora rassicurarmi che sono bella così come sono, che mi trova attraente. Io gli credo, provo a vedermi con i suoi occhi che mi vogliono bene più di quanto non me ne voglia io, ma faccio ancora fatica.

Per questo spero che sempre più spesso vengano promossi esempi di donne di tutti i tipi a cui ogni bambina di oggi si possa ispirare e sentirsi bella e forte esattamente com’è, nella propria pelle.

 

Smith

Io non sono una donna di Nomit, evidentemente. Ma vorrei anche io, come uomo (magari lo fossi!), provare a spiegare cosa sono state per me le donne della mia vita e quanto io sia grato del destino che le ha messe sul mio cammino.

Da piccolo non sono mai stato un ragazzino riflessivo, obbidiente. Spesso non stavo bene, per uno strano scherzo della vita che mi ha fatto tutto al rovescio, ed ero convinto che, proprio per questo, avessi il diritto di ribellarmi a tutto ciò che era considerato ‘dritto’. Mia madre, sempre attenta, spesso con me perdeva la pazienza, e come darle torto. Ma nonostante ciò, con amore, ogni sera, prendeva un libro e per calmare la mia esuberanza cominciava a leggere. Avventure, eroi, tempi antichi e mondi fantastici, la sua voce dentro di me si tramutava in immagini, dapprima sfuocate, poi, sempre più nitide. E tanto lesse e tanto mi insegnò, che tutte le sue parole divennero me.

Purtroppo, come molti ben sanno, la voce della madre, crescendo, dentro di noi si affievolisce, tanto che ognuno comincia poi a pensare di non averne più bisogno. Col tempo poi, può accadere che il mondo intorno a noi abbia il sopravvento, con tutte quelle meschinità che ci avvolgono come nebbia, facendoci scordare tutte quelle avventure, eroi, tempi antichi e mondi fantastici, che una volta erano noi. Ecco, io penso che proprio in quel momento, un adolescente, maschio come me, si trovi davanti alla domanda della vita: che cosa significa essere uomo?

Ancora oggi io a questa domanda non sono certo di aver trovato una risposta valida. Ma, quello che posso dirvi, con assoluta certezza, è che da quella nebbia io sono riuscito a uscire solamente grazie alla donna che oggi ho accanto. E’ stata lei, che con pazienza e con amore, sin dal primo giorno mi ha insegnato di nuovo ad essere me.