Da tempo nell’opinione pubblica italiana il racconto dell’emigrazione ha connotati retorici ben definiti. Condividi la descrizione che i media danno del fenomeno?
No, non sono d’accordo con la visione che i media danno dell’emigrazione. Ho temporaneamente lasciato l’Italia non perché penso che non mi possa dare opportunità, ma per fare nuove esperienze, per migliorare le lingue che ho studiato (cinese e inglese), per trovare nuovi stimoli e per crescere a livello personale e professionale. Ho scelto di studiare lingue all’università e tra un periodo di studi e l’altro ho vissuto in Cina per due anni. Durante il primo viaggio in Cina, nel 2013, ho vissuto un vero e proprio shock linguistico e culturale. Studiavo la lingua cinese già da due anni, ma quando sono arrivata là nessuno mi capiva e mi guardavano come se fossi un extraterrestre. La scelta di studiare cinese e di andare in Cina è stata del tutto volontaria, ma integrarsi non è stato facile e molte volte mi sono sentita sola. Nel 2018 ho conseguito il master in lingua cinese a Pechino per l’insegnamento del cinese a stranieri e lo scorso marzo la laurea magistrale in Italia. Ad aprile di quest’anno mi sono trasferita a Melbourne in veste di assistente linguistica di italiano. Durante gli studi ho seguito corsi specifici per la didattica dell’italiano a stranieri e sebbene la mia preparazione certificata sia più ricca e completa di quella di molti docenti di ruolo che insegnano italiano nelle scuole australiane, il sistema scolastico estero non riconosce questi miei titoli: per poter essere un’insegnante a tutti gli effetti anche qui dovrei frequentare altri due anni di master in Australia che, una volta rientrata in Italia, potrebbero anche non essermi riconosciuti. Emigrare non è tutto rose e fiori: richiede numerosi investimenti ed energie. Dopo molti anni di studio, andare dall’altra parte del mondo e scoprire che i miei titoli non sono considerati validi è stata una vera e propria delusione.
Anche nel dibattito politico il tema dell’emigrazione è sempre più in primo piano, ma la conoscenza che la politica ha del fenomeno appare limitata. In che modo suggeriresti alla politica di inquadrare il tema dell’emigrazione?
Dalla mia esperienza ho percepito che nessuno a livello istituzionale si occupa dei problemi che riscontrano i giovani emigrati. Uno dei problemi più gravi è il mancato riconoscimento dei titoli di laurea o di master specifici conseguiti all’estero. Bisognerebbe che vi fosse una maggiore attenzione su questi temi da parte dei governi e della politica.
Ti senti un cervello in fuga? Come descriveresti la tua esperienza di emigrazione?
Ho lasciato l’Italia per motivi di studio e di lavoro, ma non mi sento un cervello in fuga. Infatti, come già detto sopra, è stata una mia scelta quella di trasferirmi all’estero per poter fare più esperienze.
Al giorno d’oggi non parlerei più di “fuga di cervelli”, ma di “libera circolazione di intelligenze” perché sempre di più avvertiamo l’esigenza di spostarci per arricchirci e portare qualcosa di nuovo laddove ci trasferiamo. Personalmente, attraverso il mio lavoro di insegnante di italiano a stranieri, ritengo di contribuire alla diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo. Al mio rientro in Italia, invece, saprò di portare con me un tesoro di nuove esperienze che spero daranno i loro frutti.
Tornare o non tornare? Il tema del ritorno è un aspetto presente nella tua riflessione personale sulla tua esperienza migratoria?
Prima ancora della partenza capita spesso che le persone mi chiedano se penso di tornare, come se stessi andando via per sempre. In tutta onestà vorrei vivere all’estero ancora un paio di anni per fare esperienza e crescere a livello lavorativo come ho già detto sopra. Nel lungo termine, però, almeno per il momento, il mio futuro lo vedo in Italia dove vorrei portare tutto ciò che ho imparato all’estero.
Riterresti utile un impegno da parte delle istituzioni per rendere più informati coloro che vorrebbero tentare l’esperienza migratoria, sia sui Paesi dove desiderano spostarsi, sia sui servizi che le istituzioni italiane all’estero offrono?
Sì, soprattutto per quanto riguarda la questione dei visti e dei riconoscimenti dei titoli universitari.
Ritieni che le istituzioni italiane debbano impegnarsi per definire progetti concreti che facilitino il rientro e il reinserimento sociale di chi ha vissuto anni all’estero?
Certamente sì. Chi decide di partire e vivere all’estero per un periodo anche breve ritorna cambiato e con più esperienza del mondo rispetto a quella che aveva prima. Quindi, ritengo sia molto importante valorizzare l’esperienza maturata all’estero attraverso concrete opportunità di lavoro in Italia. Nel 2016 sono stata selezionata per partecipare a un programma di Double Degree tra l’Università Ca’ Foscari di Venezia e la Capital Normal University di Pechino. Attraverso questo percorso formativo ho conseguito due titoli di studio rilasciati dai due atenei: nel 2018 mi sono laureata a Pechino con una tesi, scritta interamente in lingua cinese, sulla didattica del cinese a stranieri e lo scorso marzo 2019 ho terminato il mio percorso di studi a Venezia con la laurea magistrale italiana. Il titolo conseguito a Pechino, però, non viene riconosciuto dal ministero della Pubblica istruzione del governo italiano sebbene sia a tutti gli effetti paragonabile a una laurea magistrale italiana. Quindi, se non avessi ottenuto anche la laurea magistrale italiana, non potrei insegnare nelle scuole pubbliche italiane. Soprattutto in questi ultimi anni sono nati molti accordi tra le università italiane e straniere che offrono, a mio parere, interessanti percorsi di studio. Ora, però, non si tratta più di promuovere questi programmi ma di rendere validi i titoli conseguiti all’estero permettendo ai neolaureati di avere anche una certa continuità nel mondo del lavoro e fare in modo che gli studi svolti all’estero diano i loro frutti in Italia.
Consiglieresti un’esperienza di vita all’estero? Se sì, perché? Con quali accorgimenti?
Sì; sia a livello di studio che lavorativo. Per quanto mi riguarda, i periodi trascorsi all’estero mi hanno dato nuovi stimoli, mi hanno fatta crescere e mi hanno aperto gli occhi facendomi apprezzare il luogo dove sono cresciuta e, in generale, le ricchezze dell’Italia. Naturalmente vivere all’estero non è semplice; spesso ho riscontrato difficoltà più a livello culturale che a livello linguistico. Anche se ci si integra bene nella società, dal mio punto di vista ci si sente sempre e comunque un po’ stranieri.
Che opinione hai delle istituzioni italiane all’estero? Comites, Cgie, rete diplomatica, istituti di cultura, ecc.?
Riesco sempre a integrarmi bene quando sono all’estero e ad adattarmi alle diverse situazioni. Mi piace comunque conoscere associazioni ed enti italiani presenti sul territorio per partecipare alle loro iniziative. A volte mi rendo conto, tra le altre cose, che tra questi enti e associazioni non sempre c’è scambio di dialogo.