Questione di scelte – Una serata con Edward Snowden

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Sabato 22 maggio scorso, in una calda e ventosa serata autunnale, la città di Melbourne è stata teatro di un evento politico di rilevanza internazionale. E anche se questo importante momento non ha avuto la risonanza mediatica che meritava, il Plenary auditorium presso il Convention and Exibition Centre era affollato di persone, la maggior parte giovani ragazzi, corsi ad ascoltare le parole di Edward Snowden, l’ex tecnico della CIA e consulente della Natonal Security Agency degli Stati Uniti, che nel 2013 ha deciso di rivelare ai giornali i dettagli di alcuni dei programmi di sorveglianza del proprio governo, diventando da quel momento uno delle icone della lotta mondiale per la trasparenza, la democrazia e il diritto alla privacy. La conferenza è uno dei tanti eventi organizzati dalla giovane associazione Think Inc., un’iniziativa nata per portare il pubblico australiano ad essere protagonista diretto di un dibattito sui più importanti temi dell’attualità in diversi campi, da quello politico a quello scientifico. Think Inc organizza incontri e conferenze con alcuni dei membri più conosciuti e stimati dell’accademia, del mondo intellettuale o di quello professionale mondiali, portandoli in Australia per confrontarsi con il pubblico. La serata dedicata ad ospitare Edward Snowden, organizzata in collaborazione con il Castan Centre for Human Rights Law della Monash University e Amnesty International, è stata un po’ atipica perché non ha potuto godere della presenza fisica del protagonista, costretto a vivere da rifugiato politico in Russia, da dove non si può muovere se non vuole correre il rischio di essere catturato dai servizi americani e processato da un tribunale militare.

Proprio ironizzando su questa condizione di rifugiato politico ha aperto il suo discorso, in videoconferenza con il pubblico, il trentenne Edward Snowden, raccontando come, in seguito alla propria disponibilità di consegnarsi al governo americano in cambio di un regolare processo pubblico di fronte ad una giuria, la risposta ricevuta fosse stata una lettera firmata dal procuratore generale che gli spiegava che, come unica garanzia, lo stato poteva offrigli soltanto la promessa che non sarebbe stato sottoposto a tortura. Aprendo con questa battuta, Edward Snowden ha voluto, nonostante la comprensibile difficoltà della situazione e l’impossibilità di muoversi liberamente, mostrare la propria serenità, la propria fermezza, spiegando come, la percezione della propria vita, da quando decise di intraprendere questa scelta, sia molto più libera, più leggera, supportata dalla convinzione che la battaglia intrapresa travalicasse la propria limitata esperienza, abbracciando una strenua difesa della libertà, della democrazia e dei diritti di tutti.  

E’ molto difficile riuscire a far sentire, a spiegare, in poche parole, quello che Edward Snowden sta cercando di comunicare al mondo con la propria scelta. La sua calma, la sua abilità nello misurare le parole, è qualcosa che impressiona profondamente. Il suo messaggio, la sua battaglia, si inseriscono nel tessuto stesso della storia delle democrazie occidentali, sia dal punto di vista dei valori, quelli nati dall’Illuminismo e che hanno portato alla stesura di Costituzioni come quella Americana, sia dal punto di vista dei principi liberali che hanno originato le cosiddette democrazie occidentali. La lotta tra il controllo e la libertà ha radici infatti molto profonde. Quello che le rivelazioni di Edward Snowden hanno portato alla luce è che, dopo un periodo di crescita delle libertà dei cittadini, quella in cui la società sta ripiombando è una rapida inversione di rotta, un ritorno alla radicalizzazione del controllo dello Stato sulla vita privata di ogni cittadino. L’incubo delineato da George Orwell nel suo romanzo “1984” si sta materializzando sotto i nostri occhi e compete a noi tutti, a tutti i cittadini, alzarsi e chiedere ai propri governi che questo sistema, questo rullo compressore che sta schiacciando il diritto alla libertà di ognuno sia arrestato immediatamente.

Come lo stesso Snowden sottolinea con forza, la scelta è dunque politica. Sono i nostri governi, quelli che dovrebbero rappresentarci, che dovrebbero proteggere i diritti dei propri cittadini che, caduti in mano a delle oligarchie, sempre più chiuse, stanno invece ripercorrendo a ritroso i passi di conquiste sociali importanti e, con le proprie scelte, stanno mettendo sempre più a repentaglio i diritti fondamentali delle società democratiche. Uno di questi diritti fondamentali è appunto quello alla privacy. “Le persone che sostengono di non essere interessate al diritto alla privacy perché non hanno niente da nascondere non capiscono realmente qual è la posta in gioco –afferma Snowden con una punta di amarezza – è come se dicessero che non sono interessati alla libertà di espressione perché non hanno niente da dire, né alla libertà di stampa, perché non hanno niente da scrivere e questo è molto pericoloso”.

Ma non è solo un discorso di principi quello portato avanti da Snowden. Lui stesso, come senior operator di un sistema di controllo, per cui, dice, avrebbe potuto risalire anche alle comunicazioni del presidente degli Stati Uniti stesso o, nel giro di un pomeriggio, avrebbe potuto rendere note tutte le basi operative o gli agenti sotto copertura della Cia, è il testimone di quanto questi sistemi di controllo, che sono completamente sfuggiti di mano ai governi, non siano nemmeno utili per quello per cui sono diventati operativi. “La restrizione dei diritti dei cittadini, in cambio di maggiore sicurezza a causa della minaccia terroristica è totalmente una bufala”. I sistemi di controllo, di cui Snowden faceva parte e per cui noi stiamo “tragicamente rinunciando ai nostri diritti”, non aiutano a combattere il terrorismo. “Negli Stati Uniti – continua Snowden – due commissioni indipendenti hanno esaminato i programmi di sorveglianza, analizzando informazioni segrete e hanno stabilito che in nessun caso la sorveglianza di massa ha dato un contributo rilevante alle indagini contro il terrorismo. Sappiamo chi sono i soggetti potenzialmente pericolosi, già molto prima che compiano attentati, ma non siamo capaci di fermarli. La verità – afferma – non è che non sorvegliamo abbastanza, ma che sorvegliamo troppo, al punto di non capire cosa abbiamo per le mani. Il problema di quando raccogli troppe informazioni e monitori tutto, infatti, è che poi non riesci a capire e questo deve cambiare”. Che senso ha dunque, si chiede Snowden e dovremmo chiederci forse tutti, rinunciare alle proprie libertà per un controllo che non porta maggiore sicurezza? Ma che senso avrebbe, anche se questo senso di sicurezza fosse, in parte, effettivo? La privacy non è solamente un concetto soggettivo, la privacy, – spiega Snowden – riguarda la propria protezione e la protezione della società, la privacy significa proteggere i diritti, tutelare la partecipazione alla vita civile, godere dei propri interessi intellettuali. La privacy è dunque il fondamento di ogni altro diritto individuale, perché la privacy è il diritto di avere, di vivere, la propria individualità. Dire che il diritto alla privacy sta a cuore solamente a coloro che hanno qualcosa da nascondere, non è quindi solamente un atto di profonda ignoranza del valore dei propri diritti, ma, forse inconsapevolmente, significa in modo molto pericoloso enunciare uno dei principi alla base della propaganda elaborata, per la prima volta, dal ministro del Terzo Reich, Joseph Goebbels”.

Cos’è dunque un whistleblower? Un whistleblower è una persona che compie un atto di resistenza politica a un abuso di potere da parte di un autorità superiore, che dovrebbe agire per il bene della comunità, ma per qualche ragione, viene corrotta. L’azione degli whistleblower, che stanno aumentando di numero e che, quindi, sono sempre più colpiti dalla repressione, necessita di protezione, una protezione che deve essere richiesta dai cittadini ai propri governi, con delle leggi che ne proteggano la libertà e la vita dalle vendette del sistema corrotto che mettono a nudo. Perché gli individui che svelano gli abusi di potere, o la corruzione che si nasconde all’interno dei gangli vitali dei nostri sistemi di società, non sono persone speciali, ma sono semplicemente individui che credono profondamente nella tutela della libertà e fanno una scelta, mettendo a rischio la propria, per garantirla a tutti gli altri.

“Uno delle sensazioni più difficili che si provano nell’essere un whistleblower è vivere con la consapevolezza che ci saranno persone che continueranno a sedersi, esattamente come tu stesso hai fatto  in passato, alle loro scrivanie all’interno delle agenzie di sorveglianza, che vedranno ciò che tu hai visto e lo faranno in silenzio, senza resistere o lamentarsi. Essi impareranno a convivere, non solo con la menzogna, ma con menzogne non necessarie, pericolose, corrosive. Questa è una doppia tragedia: ciò che comincia come una strategia di sopravvivenza, finisce con il diventare un compromesso con la propria umanità, che, invece, deve essere preservata e come una diminuzione della democrazia che, addirittura, viene vissuto come un accettabile sacrificio”.

Ovviamente, non siamo tutti degli whistleblower, o non avremo mai l’occasione di esserlo. Ma come spiegato dallo stesso Snowden, gli whistleblower non sono persone particolari, sono persone normalissime, che decidono di fare una scelta. E’ questa la chiave, la scelta. Ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare una scelta che avrà un impatto significativo sulla società che lo circonda. Ascoltare le parole di Edward Snowden, sostenere il suo coraggio, non lasciarlo solo, essere presente una domenica di maggio ad una conferenza all’Exibition Centre, scrivere un articolo o leggerlo, queste, sono scelte. Queste, sono  le scelte che proteggeranno la nostra democrazia, che preserveranno i nostri diritti, che sosterranno la crescita civile e sociale della nostra società, queste, sono scelte che possiamo fare tutti.

LUCA M. ESPOSITO

(IL GLOBO, 6 giugno 2016)