Diciamo che abbiamo una brutta abitudine.
Spesso, quando pensiamo ai tentativi di innovazione legislativa delle nostre parti, ci viene lo stesso dubbio di quando ci chiama la nuovissima compagnia di gestione delle utenze, con il nome acchiappa-target-30-40 e i colori del brand ricopiati alla Ryanair, proponendoci un tariffario pari alla metà di quello che spendiamo con la Società Mainstream: dove sta la sola?
Abbiamo però anche abitudini peggiori, come la tendenza all’esterofilia. Ci giustifichiamo della prima usando la seconda, perché solo da noi le cose van così, all’estero tutto è perfetto, tipo guarda l’immigrazione, che da noi è un problema e altrove è una risorsa, normale che noi odiamo e loro amano. Per esempio dove? Australia.
Ah.
Con questo capolavoro dialettico di poco più di un minuto, il Primo Ministro Malcolm Turnbull, lo scorso aprile proclamava l’abolizione dei visti 457 direttamente dalla sua pagina facebook, fornendo l’assist al Ministro del Lavoro Dutton, per finire l’opera annunciando, sommariamente, le altre riforme al sistema visti, ad oggi ancora non ratificate, che nell’immediato futuro, cambieranno metodi ma soprattutto opportunità di ottenimento di visti permanenti, nonché della cittadinanza.
A siffatta dichiarazione d’amore, puramente nominale, del sistema australiano per il multiculturalismo, come risponde l’Italia delle intenzioni?
Con una proposta di legge di iniziativa popolare, che il caso ha voluto fosse portata all’attenzione della stampa italiana, proprio pochi giorni prima dell’exploit del PM australiano, in una conferenza al Senato presieduta da Emma Bonino.
La campagna di raccolta firme e sensibilizzazione sul tema, si chiama “Ero Straniero – L’umanità che fa bene”, e già nel nome si propone di “cambiare anche il racconto pubblico sull’immigrazione, ostaggio di pregiudizi, luoghi comuni e vere e proprie bugie che, invece di contrastare, la politica spesso sceglie di cavalcare per guadagnare consenso.”, come si legge sul sito dell’iniziativa, promossa da Radicali Italiani insieme a Fondazione Casa della carità “Angelo Abriani”, ACLI, ARCI, ASGI, Centro Astalli, CNCA, A Buon Diritto, CILD, con il sostegno di numerose organizzazioni impegnate sul fronte dell’immigrazione, tra cui Caritas Italiana, Fondazione Migrantes(che ricordiamo attiva sul tema anche in Australia in ottica italiana, avendo promosso l’anno scorso il testo “Giovani italiani in Australia – Un viaggio da ‘temporaneo’ a permanente”, di M. Grigoletti), Comunità di Sant’Egidio e tante associazioni locali.
Una vera e propria armada di virtuosi del Terzo Settore e non solo, appoggiati anche da 60 sindaci sparsi in tutta Italia, da Bergamo a Palermo, passando per Napoli, per superare la legge Bossi – Fini e sostituirla con la “Nuove norme per la promozione del regolare permesso di soggiorno e dell’inclusione sociale e lavorativa di cittadini stranieri non comunitari”. Se è vero che lo scontro sulla capacità di stringare il titolo si è già risolto a favore della norma in essere, è interessante analizzare la nuova proposta nel contenuto.
La curiosità, leggendone da quelle coste già care a Robert Hughes, che recentemente son state fatali al volgarmente detto Sponsor Visa, ovvero il ‘457’ australiano, è ritrovare la parola che fa sussultare il cuore agli italiani d’Australia, proprio all’interno del testo nostrano.
Nello specifico infatti, l’articolo 22-ter, si propone di ripristinare “il sistema dello sponsor”, si legge nella sintesi alla legge “originariamente previsto dalla legge Turco Napolitano, anche da parte di singoli privati per l’inserimento nel mercato del lavoro del cittadino straniero, con la garanzia di risorse finanziarie adeguate e disponibilità di un alloggio per il periodo di permanenza sul territorio nazionale, agevolando in primo luogo quanti abbiano già avuto precedenti esperienze lavorative in Italia o abbiano frequentato corsi di lingua italiana o di formazione professionale.”.
Se su questo punto i due emisferi legislatitvi non son mai stati così opposti, ci sono anche incroci che, sulla carta sembrano virtuosi.
Il “permesso di soggiorno temporaneo (12 mesi), da rilasciare a lavoratori stranieri per facilitare l’incontro con i datori di lavoro italiani e per consentire a coloro che sono stati selezionati, anche attraverso intermediari sulla base delle richieste di figure professionali, di svolgere i colloqui di lavoro”, sembra strizzare l’occhio all’implentazione di un qualcosa che somigli all’attuale Skilled Visa australiano(subclass 189). Il visto che più di tutti incarna lo spirito del “fair go” australiano però, viene superato dalla proposta radicale proprio in quella attività d’intermediazione tra la domanda di lavoro delle imprese italiane e l’offerta da parte di lavoratori stranieri che potrebbe, suggeriscono, essere esercitata oltre che da tutti i soggetti pubblici e privati già indicati nella legge Biagi e nel Jobs Act (centri per l’impiego, agenzie private per il lavoro, enti bilaterali, università, ecc.), anche dai fondi interprofessionali, le camere di commercio, e Onlus e, niente di meno, dalle rappresentanze diplomatiche e consolari all’estero.
Utile è ricordare, per chi a questo punto è già disorientato dalla suggestione utopica, che una legge del genere non implicherebbe alcuna reciprocità con alcun paese, quindi nessun italiano, dopo aver fatto richiesta online per il Working Holliday Visa australiano, canadese o neozelandese che sia, verrebbe ricevuto dal corrispondente consolato o ambasciata, fatto accomodare e messo nella condizione di scorrere una lista con le offerte di lavoro d’oltremare. Magari qualche nuova edizione di un compendio di diritto comparato però, potrebbe laurearci campioni di categoria, giusto per restituire un po’ d’entusiasmo.
Fabrizio Venturini