Tiro ad effetto a scavalcare il muro

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La storia del primo goal palestinese in una competizione ufficiale
articolo di Fabrizio Venturini

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Gran Premio di Formula 1, Open di tennis, Asian Cup, un calendario d’eventi niente male per un posto dove, retorica vuole, “non succede mai nulla”. Senza contare il mondiale di cricket appena concluso, ma quello è quasi esclusivamente pertinenza del Commonwealth.
Gli ultimi tre mesi, in Australia, sono stati piuttosto intensi dal punto di vista sportivo, nonché densi di risultati positivi per le varie formazioni e rappresentanze di casa; cosi densi, da eclissare anche il mero sensazionalismo del passaggio di David Villa dall’Atletico Madrid al Melbourne City. E si che, al contrario di simili operazioni precedenti, sta volta non si poteva neanche strettamente parlare di “campione sul viale del tramonto”, ritiratosi a svernare lontano dal calcio che conta in quanto, a 33 anni Villa, è arrivato a Melbourne certamente alla fine di una primavera, ma trovando l’inizio di una tiepida estate del Victoria, così tiepida però, da convincerlo ad anticipare il suo trasferimento definitivo al New York City, dove è divenuto primatista assoluto segnando il primo goal ufficiale della neonata newyorchese in MLS league.

 

Ma è un’altro il primato oggetto di quest’articolo.
Sempre calcistico ma non solo tale, l’evento in questione si consuma al Rectangular Stadium di Melbourne, durante l’AFC Cup ed è una storia insolita che muove i passi da una geografia altrettanto peculiare.
E’ il quindicesimo match dell’edizione 2015 della più importante competizione calcistica dell’Australasia, sul campo si stanno misurando due squadre dalla bandiera molto simile o meglio, si stavano, perché siamo a cinque minuti dalla fine e una delle due, la nazionale giordana, si è già portata cinque lunghezze più in là dell’altra e le somme si posson già tirare. La Palestina però, anche se sta perdendo la sua seconda gara ufficiale per 5-0, quel torneo l’ha già vinto. L’ha già vinto in quanto se l’è “giocato” mesi prima, il 30 maggio del 2014 per esattezza quando, battendo le Filippine nella finale della AFC Challenge Cup, la coppa per le emergenti nazionali asiatiche, con una punizione ad effetto di Ashraf Nu’man Al-Fawaghra a scavalcare il muro della barriera filippina, s’è guadagnata la sua prima qualificazione ad un torneo ufficiale così prestigioso.
Ma non è neanche questo il record in questione quel 16 gennaio a Melbourne all’85’; né questo né il poker calato in quella stessa partita da Al-Dardour, attaccante giordano che, approfittando dello sbandamento della difesa palestinese, infierisce, quel pomeriggio, togliendosi la soddisfazione di dominare, seppur solo per qualche giorno, una classifica marcatori dove figurano anche Honda Keisuke e Tim Cahill.

All’85 però, succede qualcosa di più. Di più della semplice punizione calciata di sinistro da Al-Bahdari, numero 7 della formazione palestinese che gli schemi dei calci piazzati deve averli studiati con grande attenzione e che, in quegli ultimi scampoli di partita, decide di applicarli rigidamente, scodellando di sinistro la palla in area. Qualcuno salta, quasi tutti in verità, palestinesi e giordani. Uno solo colpisce la sfera ma la colpisce male, il pallone si impenna e tutti si ritrovano in area, palestinesi e giordani, un po’ spaesati. Non proprio tutti.
C’è un ragazzo più defilato, che è partito lontano da quell’area piccola dove, non fosse per le maglie, non si capirebbe proprio dove comincia la Giordania e dove finisce la Palestina. Lui è partito da più lontano, dalla Slovenia per la precisione, dove è nato e dove gioca, nella massima serie, con il Krka. Si chiama Jaka Ihbeisheh e, quando quel pallone impennatosi a campanile scende, trova il suo piattone sinistro prima del suolo e finisce in rete, andando a sostanziare il primo ed unico goal palestinese in una massima competizione ufficiale.
È difficile immaginare cosa si prova a realizzare un goal del genere, così difficile che la cosa più opportuna mi è sembrata chiederlo direttamente a lui.

 

1-Cosa si prova a realizzare un goal del genere?

 

Segnare un goal è sempre un bel momento, pieno di gioia e orgoglio. Ad ogni modo, dopo che segnai contro la Giordania, non festeggiai perché il goal arrivò troppo tardi e non poté cambiare il risultato. Solo una volta concluso il match e dopo aver visto la reazione dei tifosi mi resi conto di quanto quella rete potesse significare, nonostante il fatto che avessimo perso. Tutto ciò ha causato una frenesia mediatica, che è continuata anche in Slovenia e, solo a quel punto realizzai che quello fu un momento storico, un goal storico per la Palestina.

 

2-Nella partita precedente a quella con la Giordania avete affrontato il Giappone quella che, prestazione a parte, poteva considerarsi il top team dell’intera competizione. Che umore c’era nello spogliatoio sapendo che dovevate esordire proprio contro Honda e compagni?

L’atmosfera nello spogliatoio era ottimistica in quanto quello era il primo match dell’Asian Cup e noi non vedevamo l’ora di esordire in quella competizione. Sapevamo di dover esordire con una delle migliori formazioni ma non eravamo spaventati. Volevamo mostrare al mondo che la Palestina poteva giocare a calcio ma, in quanto squadra giovane e con enormi difficoltà organizzative, sapevamo e sappiamo che la strada da percorrere è ancora lunga.
3-Tu sei uno dei pochi giocatori palestinesi che ha sempre giocato in Europa: conoscevi già i tuoi compagni?

Io sono nato in Slovenia e ho sempre vissuto qui. Sono stato in Palestina solo due volte prima di essere convocato in nazionale; la prima volta ero solo un bambino mentre la seconda fu nel 2013, quando io e mia moglie siamo andati in visita da mio padre e il resto della sua famiglia, dopo 17 anni che non lo vedevo. Pertanto non sapevo nulla della squadra.

3.1-È stato difficile trovare il giusto affiatamento?

Ci vuole un po’ di tempo per conoscere tutti ed abituarsi ad un nuovo team, ma tutti sono stati molto gentili e disponibili . Siamo subito diventati amici e ci teniamo regolarmente in contatto.

3.2-Che lingua si parlava nello spogliatoio?

Quasi tutti parlano arabo, quindi è stato un po’ difficile per me in quanto io non lo parlo. Naturalmente i ragazzi mi traducevano tutto in inglese. Qualche volta però, mi son perso qualche battuta perché il significato dei giochi di parole è difficile da riprodurre in un’altra lingua. Il calcio, comunque, è un linguaggio universale capace di mettere insieme anche persone che non hanno molto in comune.

4- Tu sei nato a Ljubljana; come sei diventato un giocatore della nazionale palestinese?

Nel 2013 il FifPro tenne la sua Assemblea Generale a Ljubljana. Membri dello SPINS ( Unione dei Calciatori Professionisti Sloveni), mi suggerirono di incontrare Rami Rabi, il presidente della FederCalcio palestinese (PPPA). Ci incontrammo e parlammo di vari argomenti ma non fu mai paventata l’ipotesi che io potessi essere convocato in Nazionale. Dopo che la Palestina si qualificò per l’Asian Cup, ricevetti una chiamata da Rabi che mi chiese di giocare per loro ed io accettai immediatamente.

4.1- Non hai mai avuto dubbi riguardo al fatto che, questa scelta, ti avrebbe         precluso la possibilità di giocare con una nazionale più prestigiosa come         quella slovena?

Non ho mai avuto dubbi o rimpianti per aver giocato per la nazionale palestinese. In passato giocai per le nazionali giovanili slovene ma mai per la prima squadra. Questa fu una proposta che non potevo rifiutare.

 

5-Il popolo palestinese non può mai dar nulla per scontato in termini di rappresentanza, anche sportiva, considerando che la FederCalcio è stata riconosciuta dalla FIFA nel 1998 e la prima partita partita in territorio palestinese è stata disputata solo nel 2008. Arrivati in un competizione così prestigiosa, sentivate una certa responsabilità verso i tifosi?

Considerando l’importanza ell’Asian Cup per la Palestina e per il suo popolo, mi sentivo responsabile nei confronti del Paese e dei tifosi, naturalmente. Fui e sono ancora profondamente onorato di esser stato invitato a giocare per la nazionale del paese natale di mio padre, per questo ho fatto del mio meglio per giustificare la mia convocazione in Asian Cup. Io e i miei compagni di squadra volevamo realmente centrare l’obiettivo della qualificazione alla fase ad eliminazione diretta, ma sfortunatamente non ce l’abbiam fatta. Il nostro ruolo comunque rimane non solo quello di giocare a calcio, ma anche di rappresentare la Palestina in generale e significare al mondo la sua complessa situazione.
6-In Australia il calcio è in grande crescita, soprattutto negli ultimi anni, che impressioni hai avuto della partecipazione del pubblico all’Asian Cup?

 

L’interesse per il calcio e l’Asian Cup era ovvio. Non può certo essere paragonato alla popolarità del calcio in Europa, ma l’Asian Cup ha avvicinato molto il pubblico australiano al calcio, merito anche del fatto che le infrastrutture australiane sono incredibili e, l’organizzazione dell’evento è stata perfetta. Ci siamo sentiti i benvenuti e siamo rimasti sorpresi del supporto ricevuto dal pubblico australiano.

6.1- Ti piacerebbe fare un’esperienza nell’A-league australiana?

Si, mi piacerebbe molto giocare in una squadra australiana e penso che la popolarità del calcio in Australia non può che continuare a crescere in futuro.
Inoltre, passare quasi un mese in Australia visitando Sydney, Newcastle, Melbourne e Canberra
    mi ha aiutato ad acquisire familiarità con il Paese e la sua gente. Mi piace molto l’Australia, è un interessante ed enorme paese. La natura è così differente da quella europea e le persone sono fantastiche. Forse, potrebbe esserci un’oppotunità per me nel prossimo futuro.