C’è un aspetto del dibattito pubblico italiano che è emerso con particolare chiarezza in queste confuse settimane di crisi: noi italiani siamo tutti analisti politici. Nulla di strano: già siamo tutti allenatori della Nazionale. Cinquanta milioni di esperti in fuorigioco e psicologia dello spogliatoio.
Finché si resta nel calcio, il dibattito è innocuo, tutti che si divertono e nessuno che pretende di salvare il mondo. Qualche problema si pone invece se la pratica si estende a settori più delicati per la coscienza di un Paese e spuntano con troppa facilità presunti esperti di economia, immigrazione, giustizia, vaccini. In una parola: politica, tantissima politica. Anche perché, diciamolo, la politica italiana è la più divertente al mondo, e alle chiacchiere si presta bene.
Il punto è che parliamo di forma, mai di contenuti. Di fronte agli sviluppi politici nel nostro Paese, non discutiamo di programmi, idee, valori, ma di tattiche. Il ministro X si è fatto lo sgambetto da solo o è caduto in una trappola? I partiti Y e Z hanno tradito i propri elettori o hanno compiuto un legittimo cambio di strategia? Il presidente della Repubblica ha fatto bene a permettere un nuovo governo o avrebbe dovuto indire le elezioni?
Sembriamo spettatori del nostro destino, commentatori di vicende altrui che in fondo non ci interessano troppo. Vediamo la politica alla TV, e forse la confondiamo con una fiction. Invece di ragionare nel merito delle situazioni e delle loro conseguenze su tutti noi, ci fermiamo alla superficie delle cose. È un po’ come quando, dopo un dibattito tra candidati, ci si concentra a discutere su chi abbia “vinto” invece che sulle idee proposte. Questo modo di fare “da tifosi” ha importanti ripercussioni sulla politica stessa. Un dibattito pubblico scadente autorizza una politica scadente. Noi cittadini, schierati in modo acritico e così indulgenti verso i rappresentanti della nostra parte politica, diventiamo corresponsabili della loro mediocrità. Padronanza della materia, chiarezza di ragionamento e di esposizione sono da tempo passati in secondo piano rispetto al semplice far parlare di sé, saper piazzare la dichiarazione ad effetto, mostrarsi simpatici. Sembra contare solo la “narrativa”, il cosiddetto “storytelling”. In altre parole il “saperla raccontare”.
Va detto che il cattivo esempio ce lo da’ anche buona parte della stampa, che accetta e rilancia questa superficialità, sia nella politica che nell’opinione pubblica. Essere incompetenti è concesso a chi chiacchiera al bar, ma non dovrebbe esserlo in Parlamento o in Tv. Una strana distorsione del concetto di democrazia ci ha portati a dare lo stesso valore a qualunque idea e più nessuno si incarica di ricordarci che, senza dati, siamo solo un’altra persona con un’opinione. Prima di pretendere di più dai nostri giornalisti e i nostri politici dovremmo tuttavia pretendere di più da noi stessi, come cittadini. Restando nella metafora sportiva, dovremmo abbandonare le nostre comode tribune da tuttologi e scendere in campo. Giudicare meno e agire di più. Smettere di commentare ciò che fanno gli altri e iniziare a fare la nostra parte.
Il problema è che a tutti piace il calcio, ma siamo troppo pigri per sudare.
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(IL GLOBO – Eureka, 19 settembre 2019)