Per noi italiani all’estero il nuovo governo Draghi va necessariamente visto in un’ottica diversa da quella puramente domestica di chi si trova in Italia. Per quanto limitante, questa prospettiva esterna ci puo’ quantomeno liberare gli occhi dal velo delle tifoserie politiche che avviluppano i cittadini a vario titolo a seconda della loro storia personale e contesto socio-economico. In altre parole, gli italiani in patria possono legittimamente chiedersi che cosa il nuovo governo Draghi possa direttamente e immediatamente aggiungere o togliere alle loro prerogative, diritti, necessita’ e aspettative individuali. D’altro canto, noi italiani all’estero, o almeno coloro i quali non hanno idea o modo di tornare in Italia sul breve termine, dobbiamo giocoforza effettuare la nostra valutazione del nuovo governo Draghi su di un piano collettivo, indiretto e futuristico. Questa dinamica analitica non manca di una certa ironia, considerando che l’emigrato per definizione e’ un individualista che, agli occhi di chi e’ rimasto in patria, si situa su uno spettro sociale che va dal reietto allo scappato, passando per le varie gradazioni di rimpianto o tradimento di chi non ha piu’ piena voce in capitolo.
Dunque, come possiamo analizzare dall’estero questo nuovo corso politico in Italia? A mio avviso, non possiamo che volgere lo sguardo ben oltre l’orizzonte domestico e invece rivolgerci alla dimensione squisitamente geopolitica della repentina assunzione al potere di Mario Draghi. Pertanto ogni italiano all’estero dovrebbe chiedersi non cosa puo’ fare Mario Draghi per noi, ma dove l’operato del governo Draghi vada collocando l’Italia sul sempre piu’ ingarbugliato scacchiere strategico internazionale. La sfida e’ formidabile e non solo a causa della pandemia di Covid-19, che sta solo accelerando e intensificando l’epocale competizione sino-americana per l’egemonia globale gia’ in atto da almeno un ventennio. Storicamente stiamo cominciando a vedere i primi tangibili segni di declino del ciclo sistemico anglo-americano che ha retto i destini globali negli ultimi due secoli. Senza entrare in disquisizioni filosofiche sul valore del dominio occidentale che esulano dal presente articolo, mi limito a schizzare il crocevia in cui si trova tuttora l’Italia nel sistema-mondo (per usare un termine di storia economica derivante dalla scuola di pensiero facente capo all’eminente sociologo Immanuel Wallerstein, recentemente scomparso). In sostanza, la grande accelerazione della Cina e’ una ri-convergenza dell’epicentro economico globale in Asia, dopo che il periodo delle colonizzazioni europee dal 1500 al 1900 finalmente congiunse il dominio militare a quello economico nel campo dell’egemonia occidentale. Infatti va sempre ricordato che fino alla prima guerra dell’oppio vinta dai britannici contro la Cina nel 1832, la prima potenza economica mondiale per quasi un millennio prima di allora era stata proprio la Cina. Dopo circa due secoli di dominio economico e militare da parte delle potenze occidentali facenti capo agli anglo-americani, stiamo ora vivendo una fase di sdoppiamento egemonico tra gli USA che di gran lunga continuano a detenere il monopolio della legittima violenza grazie alla loro strabordante forza militare e la Cina, che e’ sul punto di riconquistare il primato economico grazie alla sua economia socialista di mercato che meglio di tutti ha saputo imbrigliare le forze della globalizzazione. In mezzo ci sono tutti gli altri, i russi, gli europei, gli arabi e i paesi de-colonizzati, arraffazzonati a cercare nuove collocazioni strategiche per rinsaldare le loro protezioni militari esterne e assicurarsi un posto al tavolo delle opportunita’ economiche globali. L’Italia in particolare si ritrova suo malgrado seduta sul precipizio di una faglia geopolitica il cui controllo e’ tremendamente essenziale per l’esito dello scontro tra le grandi potenze militari ed economiche. Nel trentennio successivo alla caduta dell’Unione Sovietica, sulla spinta ideologica definita neo-conservativa, gli USA hanno invano tentato una svolta unilateralista per estendere l’egemonia economico-militare sulle sfere d’influenza lasciate sguarnite dalla fine del comunismo storico. Ironicamente, cio’ che ha sbarrato la strada al disegno americano e’ stato proprio il coacervo di interessi finanziari globalizzati sguinzagliato dagli USA per fare fronte alla crisi di accumulazione del capitalismo occidentale negli anni 1970 che porto’ al cosiddetto shock petrolifero e all’abbandono della convertibilita’ del dollaro americano in oro. L’apertura degli americani alla Cina iniziata in piena guerra del Vietnam e culminata con l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001 fu intrapresa dapprima per sparigliare il campo comunista a detrimento dei sovietici e poi per spingere la Cina sulla strada del capitalismo liberale. La storia ha dimostrato il notevole abbaglio preso dalle amministrazioni americane negli ultimi 50 anni. Lungi dal diventare un altro mansueto Giappone, in poche decadi la Cina ha abilmente creato un autonomo itinerario di sviluppo economico e sociale che l’ha portata a potere sfidare apertamente l’egemonia globale degli USA. In sostanza, l’insipienza strategica degli americani ha consentito alla Cina di determinare autonomamente il suo processo di decolonizzazione e quindi riprendersi il ruolo di primaria potenza economica ricoperto fino agli inizi del 1800. Nel frattempo l’Europa occidentale, dopo avere inglobato la parte orientale sotto l’egida americana grazie al declassamento della minaccia russa, si ritrova in stallo strategico ed impotente. I diminuiti, se non negativi ritorni economici della ormai invadente protezione militare americana si stanno rivelando sempre piu’ una zavorra sulla competizione per salire sul carro della crescita economica globale a guida cinese. Con le catene del valore globale che si sono finalmente ricentrate in Asia, i paesi europei non hanno la forza necessaria ad abbandonare il campo americano. Dopo l’irrilevanza dell’immediato dopoguerra fredda, l’Italia sta riacquistando valore strategico grazie alla sua collocazione geografica ed al suo ancore notevole patrimonio industriale e finanziario che si trova in mani private, dopo che quello in mani pubbliche fu svenduto nel corso dell’ultima crisi politica dei primi anni 1990. E stiamo arrivando finalmente al nostro Draghi del ventunesimo secolo. Ma prima occorre ricordare cosa fece il Draghi del ventesimo secolo, quando fu strumento acuto di potenze economiche facenti capo agli anglo-americani con chiaro interesse a che l’Italia, indebolita dalla crisi sistemica scaturita dalla fine della guerra fredda, liquidasse il patrimonio economico in mano pubblica. Tocchiamo con mano oggi come quella grande stagione di saldi e’ andata a finire e quanta decrescita e disuguaglianza economica ha portato alla maggioranza degli italiani. Lo sappiamo bene soprattutto noi della nuova generazione di italiani all’estero nata negli anni 80-90, noi che siamo dovuti espatriare per trovare migliori opportunita’ di mobilita’ sociale sbarrate da ideologie neoliberali all’insegna del disinvestimento pubblico e messe in pratica dalla generazione di cosiddetti tecnici sublimata da Mario Draghi. E dunque arriviamo al Draghi del ventunesimo secolo, quello alla guida della Banca Centrale Europea, quello che manipolo’ lo spread dei titoli di stato per defenestrare il governo Berlusconi eletto democraticamente, quello che blocco’ i bancomat in Grecia per ammansire Tsipras, quello che salvo’ l’Euro da se stesso con il quantitative easing che arricchisce a dismisura i grandi detentori di asset finanziari. Eccolo il Draghi che si appresta finalmente a guidare direttamente l’Italia con un programma ed assetto politico prettamente conservatore. Il governo Draghi infatti nasce per finire il lavoro cominciato piu’ di 30 anni fa. Draghi serve a preservare l’impianto liberista imposto all’Italia dall’Unione Europea e dalla NATO (un altro esempio di connubio economico-militare a guida americana). Draghi e’ il nuovo presidente del consiglio come garante dei creditori esterni dello smisurato debito pubblico italiano, come depositario del ruolo subalterno dell’Italia nel mediterraneo affibbiato dalla strategia militare degli USA sin dai tempi dell’assassinio di Aldo Moro per tenere buoni Francia, Israele e i loro relativi legami con gli interessi della finanza globalizzata a guida anglo-americana. A conferma di questo assetto distintamente conservatore del governo Draghi, si guardi la sua lista dei ministri. Troviamo i rospi, i cosiddetti tecnici diretta espressione dei draghi, pertanto liberi di gracidare nello stagno dell’economia slegati da ogni responsabilita’ politica. Poi ancora piu’ in basso ci sono le lucertole, i politici che sono sopravvissuti alla strisciata nel deserto per approdare nel sottobosco dell’ammucchiata di governo grazie alla bancarotta morale delle loro idee. Meritano una menzione speciale in questo senso le giravolte di Beppe Grillo e dei suoi protetti all’interno del Movimento 5 Stelle, mi domando quante stelle gli siano rimaste…
Ogni governo si deve obiettivamente valutare in base ai risultati, ma la base dei risultati in un sistema davvero democratico deve essere la maggioranza dei cittadini, che e’ composta dalla gente ordinaria e non dall’1% della popolazione piu’ ricco di capitali economici e sociali, per tacere degli occulti interessi esterni al paese. Ma davvero la gente ordinaria puo’ avere fiducia in un governo in cui siedono Giorgetti e Brunetta (sono 30 anni che entrano ed escono dai peggiori governi della storia repubblicana al seguito di Berlusconi e di Confindustria), Colao (trascorsi nell’alta finanza globale in Morgan Stanley e Vodafone), Cingolani (mercante d’armi d’alto bordo preso direttamente dal gruppo Leonardo)? Il tutto senza una vera opposizione, a meno che non si voglia considerare tale il quasi no alla fiducia dell’estrema destra di Giorgia Meloni, che piuttosto ricorda l’opposizione del re dei tempi sabaudi. Ma forse non tutti i mali vengono per nuocere da un governo dai pieni poteri cosi’ palesemente conservatore, elitista ed eterodiretto. Finalmente il PD, il M5S e il populismo di destra lasciano libero da equivoci un enorme spazio politico di opposizione per il progresso nel campo sociale che faccia riferimento agli esclusi economici ed agli emarginati sociali per unificarli in una rinnovata coscienza di classe e lotta politica. E personalmente spero che questo nuovo spazio politico potra’ motivare ed aggregare anche la nuova generazione di italiani all’estero, cui darebbe un modo almeno ideale di tornare in patria. Sursum corda!