Correva a perdifiato evitando agilmente i carretti dei mercanti che ostruivano il passaggio sotto l’arcata di Porta Salaria, in un baleno si trovò fuori le antiche mura e finalmente, al cancello di Villa Albani, si arrestò per un attimo a prendere fiato. “Aprite vi prego! Aprite!”, chiamò con voce forte Angela e il cancello si aprì. Appena saputo che Raffaello era stato portato via dalla gendarmeria pontificia, Angela corse senza pensarci, disperata, a chiedere l’intervento dell’unica persona che avrebbe potuto darle una speranza, il Principe Albani. A un tratto la carrozza si fermò e Raffaello che incappucciato non poteva vedere assolutamente nulla, fu fatto scendere adagio. Fu felice di constatare che i gradini che stava percorrendo non erano in discesa, come quelli di Castel Sant’Angelo, ma in salita. Sentì una porta di legno aprirsi con rumore lieve davanti a lui, appena gli tolsero il cappuccio, si ritrovò, con meraviglia, nelle stanze private di palazzo Albani.
Stava davanti a lui il Principe Albani che subito lo interrogò severamente: ” Viviamo sotto un vellutato, mite e paterno regime, ma tu con la tua testa irrequieta vuoi ribellarti contro sua Santità Gregorio XVI!”. “Signore”, rispose Raffaello, “la prego di credermi! Io non ho mai avuto la minima intenzione di fare quello per cui mi si accusa ingiustamente!”. Il Principe, già informato delle gelosie che si erano addensate su Raffaello tra i monaci della Santa Trinità, lo guardò negli occhi fisso e, tramutato il suo sguardo da accusatorio in benevolo, dopo una predica in cui lo ammoniva dal guardarsi dalle compagnie compromettenti, lo lasciò andare. Il giorno dopo fu rilasciato, ma non potendo tornare a Santa Trinità dei Pellegrini, fu costretto a cercare un altro impiego. La fortuna gli venne incontro e grazie alla conoscenza delle lingue, riuscì ad entrare come copialettere e traduttore presso la rinomata banca della potente famiglia Torlonia.La vita sembrò sorridergli come mai prima, un nuovo posto rinomato gli permise di avere frequentazioni mondane che non poteva permettersi fino ad allora e gli capitava spesso di passare le sue serate con Angela alla trattoria Falcone in piazza Sant’Eustachio ritrovo di scrittori, artisti, musicisti e giovani della buona società. La disavventura con i gendarmi gli aveva procurato poi una fama di repubblicano presso i giovani che frequentavano le locande del rione Regola, che in queli
tempi ribollivano di spirito patriottico e rivoluzionario. Una sera era seduto ad un tavolo con due giovani che aveva conosciuto qualche tempo prima, Giovan Battista Cattabeni e Mattia Montecchi. “Senti Raffaello”, esordì Mattia, “perchè non dai un’occhiata a questo libretto?”. Raffaello prese il libro che l’altro gli porgeva e lesse: “Programma politico della Giovine Italia di Giuseppe Mazzini”. “Io e Giovanni abbiamo degli amici che ne fanno parte e siamo in contatto con loro già da tempo. Si preparano grandi gesta, eroiche, per liberare per sempre Roma e l’Italia dal giogo delle forze reazionarie e clericali. Credo ti interesserà”.